I segnali di rallentamento dell’economia europea, che spingerebbero la Banca centrale europea verso una politica meno aggressiva sui tassi, colpiscono l’euro sui mercati che finisce ai minimi degli ultimi venti anni sul dollaro. La moneta unica scende così dell’ 1,1% a 1,03 dollari, tornando ai livelli del dicembre 2002. La parità non è distante. “È solo una questione di tempo” spiega Neil Jones, capo del comparto valute del gruppo bancario giapponese Mizuho. Secondo le stime raccolta dall’agenzia Bloomberg le chance di una parità entro fine anno sono salite al 60%.
Secondo gli operatori la banca centrale potrebbe alzare i tassi in una forbice inferiore rispetto alla previsione della scorsa settimana. La Bce riunirà il suo consiglio direttivo il prossimi 21 luglio, un ritocco sui tassi è stato già preannunciato, rimane incerta l’entità. Possibile che ci si limiti ad un + 0,25% per poi intensificare la stretta a settembre, anche in base all’evoluzione di inflazione e dati sulla crescita economica. L’aumento dei tassi di interesse ha l’effetto di ridurre la quantità di moneta in circolazione, fattore che può contribuire a rallentare l’inflazione. Per contro condizioni monetarie meno espansive penalizzano la crescita economica e i mercati azionari.
Nell’ultimo anno l’euro ha perso il 13% del suo valore nei confronti del dollaro. Le prime due valute mondiali vengono oggi scambiate quasi alla pari. Il rafforzamento del dollaro è dovuto per lo più alle decisioni della Federal Reserve, la banca centrale statunitense, che ha avviato il rialzo dei tassi già lo scorso marzo. Una valuta più debole ha il vantaggio di favorire le esportazioni dell’area valutaria che la utilizza verso i paesi che usano la moneta che viceversa si rafforza. Questo poiché i beni importati costano meno in termini relativi. La svalutazione dell’euro dovrebbe quindi spingere l’export europeo verso gli Stati Uniti.