"È questa la ragione per cui ho creato questa collezione, per rinnovare uno stile, un’idea di femminilità autentica che adesso non c’è più. Si è persa, proprio come i cabaret”, spiega lo stilista ai giornalisti presenti. Più di novanta look, alcuni addirittura già venduti ancor prima di esser rivelati al pubblico, in cui detta i codici di una rinnovata eleganza femminile sensuale come il velluto ma frizzante come le frange in canottiglie, lasciandosi andare a qualche provocazione
I riflettori sono tutti puntati sulla passerella madreperla, la sala è avvolta in un’oscurità spezzata solo dalle piccole abat-jour che intervallano i seat emanando una luce soffusa. L’aria, pervasa di una fragranza sensuale e avvolgente, vibra sulle note malinconiche e tormentate di un pianoforte. Inizia la magia. La Salle Pleyel, il tempio della musica francese in Rue du Faubourg-Saint-Honoré, recupera per una sera quell’atmosfera che si respirava a Parigi all’epoca della sua costruzione, nel 1927, e diventa lo scrigno perfetto per il “Cabaret Pétillante” di Giorgio Armani. Dopo aver rinunciato, a malincuore, a sfilare lo scorso gennaio a causa del Covid, lo stilista torna a presentare la sua collezione d’alta moda Privé FW22/23 sulle passerelle parigine consegnando alla Storia una sfilata monumentale che lo consacra, ancora una volta, come il re indiscusso dell’haute couture. Più di novanta look, alcuni addirittura già venduti ancor prima di esser rivelati al pubblico, in cui detta i codici di una rinnovata eleganza femminile sensuale come il velluto ma, al contempo, frizzante come le frange in canottiglie, lasciandosi andare a qualche provocazione. Perché, ci spiega, “una sfilata di alta moda deve provocare, deve essere qualcosa di inedito”.
“L’idea di base arriva da certi film americani, dove una coppia va al cabaret. C’è un stanza con luci soffuse, musica di sottofondo, qualcuno che sussurra, qualcuno che si bacia…”, racconta Giorgio Armani aprendo le porte del backstage ai giornalisti poche ore prima dell’inizio dello show. “Certo, nessuno va più al cabaret, vanno tutti in discoteca, vanno da altre parti, ma penso a una donna che esce senza mai camuffarsi. Ho voluto esasperare queste atmosfere, aggiungendo anche un tocco di dolce allegria, raccontando il piacere sottile di godere della vita. Una nuova storia che si traduce in un’immagine di una donna che vuole essere sofisticata, in maniera, diciamo, anche spiritosa, non sussiegosa, ma spiritosa. Spero di rinnovare un modo di essere che adesso non c’è più”, spiega mostrando i dettagli dei capi che accarezza con amore paterno. “Sapete – confida poi – , ieri sera ero al ristorante e non riuscivo a smettere di osservare le donne presenti. Sono rimasto davvero amareggiato dal vedere come rovinino la loro bellezza tra ‘ritocchini’ e abiti volgari: è questa la ragione per cui ho creato questa collezione, per rinnovare uno stile, un’idea di femminilità autentica che adesso non c’è più. Si è persa, proprio come i cabaret”. E così, tutto questo si traduce in un’esperienza multisensoriale fatta di abiti intessuti di meraviglia, tempestati di cristalli che scintillano sulle gonne illuminando il tessuto scuro come stelle nella notte. È un tripudio di luci, bagliori e riflessi, che si irradiano nello spazio sprigionando tutta la potenza del femminile assoluto e atemporale. Dai toni accesi ed energici dei rosa che ricordano i cieli infiammati di tramonti lontani, all’azzurro etereo che sfocia nella profondità senza fine dei blu e del nero per eccellenza: Armani detta così la via di fuga verso il sogno e la magia, abbandonandosi alla creatività incontaminata che da sempre caratterizza le sue collezioni Privé. C’è spazio per lo scintillio, per i lustrini, per una misurata frivolezza di calviniana memoria, elementi che ci teletrasportano nei ruggenti anni ’20, la decade iconica che ha visto le donne affermare la propria indipendenza e riscattarsi in modo volitivo e brillante mentre sbattevano sensualmente le ciglia scure di mascara ancheggiando nei loro abiti-sottoveste in satin. Un po’ come Tamara de Lempicka, musa dell’art decò passata alla storia con l’immagine che lei stessa ha voluto affermare nel suo autoritratto.
Il fulcro di questa poetica armaniana sta nel lavoro di studio accuratissimo che lo stilista ha fatto sulle silhouette, facendone l’emblema di questo connubio ossimorico tra femminilità e desiderio di ribellione: sono serpentine, fascianti e avvolgenti sulle forme, ma anche vaporose ed evanescenti. Le gonne “a sirena” tipiche dell’estetica legata al mondo del cabaret sono qui spezzate da lame di colore, c’è il fucsia che si sprigiona dal nero, e i tessuti – dal velluto impalpabile alla seta più leggera – si muovono al ritmo dei corpi in un fruscio di sottofondo ipnotico. C’è un gioco di stile sui corpetti, focus della collezione, che si animano di frange di canottiglie dai rimandi ora Gatsbiniani ora gitani, accostati a pantaloni sartoriali chiamati a fare da contraltare nella calibrata provocazione di Armani. E poi le giacche, immancabili, in fantasia optical o attraversate da preziosissimi ricami che rimandano all’Oriente conferendo al look un’aria che “Re” Giorgio definisce “esoterica, più che esotica”: ”Perché sappiamo che il modo occidentale di vestire rischia sempre di essere un po’ stiff, un po’ secco e severo”. Il colpo d’occhio emana pura energia femminile: la stessa che lo stilista ha voluto concentrare nell’ultimo look. Dopo aver sfoggiato una gamma di sfumature intense e brillanti, ecco che fa la sua comparsa un completo pantalone bianco coronato da una preziosa calotta di diamanti. Accecante, purissimo, disarmante: è la summa di tutti i colori, le forme e le suggestioni viste negli abiti precedenti. È l’ultima provocazione di Giorgio Armani, che con questa sfilata si prende la standing ovation del pubblico esploso in un fragoroso e interminabile applauso appena lo ha visto fare capolino in passerella. Poi, con gli occhi lucidi, torna dietro le quinte. Ma non prima di aver dato precise indicazioni a fotografi e modelle per la foto finale di rito.