Fino a qualche giorno fa sembrava che tutto si fosse arenato per un procedimento penale aperto dalla magistratura di San Paolo nei confronti del boss Rocco Morabito detto “Tamunga”. E invece stamattina all’alba il narcotrafficante di Africo è stato estradato dal Brasile ed è atterrato a Roma Ciampino dove è stato preso in custodia dai carabinieri che lo accompagneranno in un carcere di massima sicurezza. Rocco Morabito dovrà scontare un cumulo di 30 anni per condanne definitive rimediate dalle Corti d’appello di Palermo, Milano e Reggio Calabria e confermate dalla Cassazione.

Finisce così la fuga del latitante più ricercato d’Italia dopo Matteo Messina Denaro. Considerato uno dei più importanti broker della ‘ndrangheta, infatti, Rocco Morabito era stato arrestato il 25 maggio 2021 dalla polizia federale brasiliana, nel corso di un’operazione congiunta con i carabinieri del Ros e del Comando provinciale di Reggio Calabria, supportati dal Servizio di cooperazione internazionale di polizia, il progetto I-Can (Interpol Cooperation Against ‘ndrangheta), e dalle agenzie statunitensi Dea e Fbi.

Le indagini sulla sua cattura sono state coordinate dalla Procura di Reggio Calabria, guidata da Giovanni Bombardieri, mentre il provvedimento restrittivo è stato emesso dalla Procura generale diretta da Gerardo Dominijanni.

Dal 1995 inserito nella lista dei latitanti di massima pericolosità facenti parte del “programma speciale di ricerca” del ministero dell’Interno, il superboss della ‘ndrangheta Rocco Morabito è stato un fantasma per 23 anni. La prima volta, nel 2017, è stato arrestato in Uruguay. Utilizzando la falsa identità di Francisco Antonio Capeletto Souza (sedicente imprenditore che si era costruito un nome nell’import-export della soia), il narcotrafficante si nascondeva nella località di Punta del Este, dove faceva la bella vita con tanto di villa con piscina, assegni e soldi in contanti, una Mercedes, 13 cellulari, 12 carte di credito e un passaporto brasiliano.

Due anni dopo l’arresto però, quando stava per essere estradato in Italia, il 24 giugno 2019 Morabito è evaso insieme ad altri tre detenuti (Leonardo Abel Sinopoli Azcoaga, Matias Sebastiàn Acosta Gonzales e Bruno Ezequiel Diaz) scavando un tunnel che lo fece uscire dalla terrazza del carcere “Central” di Montevideo. La sua seconda latitanza è durata due anni: attraverso il monitoraggio delle scie telematiche, infatti, il 25 maggio 2021 Rocco Morabito è stato arrestato dai carabinieri in un albergo di João Pessoa, capitale dello stato di Paraiba, nel nord-est del Brasile.

Conosciuto con il soprannome di “Tamunga”, perché da giovane scorrazzava sulle spiagge della Locride con un fuoristrada militare Auto Munga, il latitante appartiene a una delle più potenti ‘ndrine della Locride. Rocco Morabito ha un pedigree criminale che fa paura: è imparentato col più noto boss Giuseppe Morabito, detto “u Tiradrittu”, suo cugino di secondo grado, e con i fratelli Domenico Leo e Giovanni Morabito soprannominati gli “Scassaporte”. Gli ‘80 e i ’90 per l’ormai ex latitante sono stati gli anni d’oro. La carriera criminale di Tamunga parte nel 1984 quando, all’età di soli 17 anni, è stato denunciato per interruzione di pubblico servizio. Era uno dei rampolli degli “africoti” che hanno studiato all’università di Messina nei tempi in cui la ‘ndrangheta si laureava con la pistola sulla cattedra. Nel 1988, era stato arrestato per minacce a un docente universitario. Accusa da cui poi verrà assolto per insufficienza di prove. È tutto riportato in una vecchia nota dei carabinieri di Bologna, dove prima scomparire, Morabito secondo gli inquirenti avrebbe gestito le quote della società Mistigrì a cui venivano intestate le auto utilizzate e le utenze degli affiliati alla cosca di Africo.

Nel 1989, suo fratello Leo Morabito è stato ucciso in un agguato mafioso e l’anno successivo Rocco è stato ferito in un altro attentato. Si era presentato presso l’ospedale di Locri perché qualcuno gli aveva sparato a una caviglia ma le indagini non riuscirono mai a individuare il responsabile. Nel settore il traffico di droga è entrato in contatto anche con gli ambienti della camorra. Non è un caso che, assieme ad altri affiliati, Rocco Morabito era stato identificato a Baia Domizia di Sessa Aurunca, all’interno dell’abitazione di Alberto Beneduce, boss e narcotrafficante camorrista conosciuto con il soprannome di “A cocaina” e trovato qualche settimana dopo carbonizzato nel bagagliaio di un’auto.

Gli affari di Tamunga passavano per Milano dove la sua rete di contatti portava dritto ad Africo e alle cosche dell’Aspromonte. Ma anche a personaggi che, già all’inizio degli anni novanta, erano in grado di mettere in piedi un carico di oltre mezza tonnellata di cocaina. Morabito si muoveva dalla Lombardia al Sud America con la stessa facilità di chi attraversa la strada. Il suo core business era sempre lo stesso: nel luglio 1992 è stato arrestato dalla Polizia di Fortaleza (Brasile) per traffico di stupefacenti in concorso con altri. Rimesso in libertà, rientra in Calabria, dove nel 1994 viene denunciato più volte per associazione per delinquere. La sua latitanza inizia sfuggendo a due ordinanze di custodia cautelare in carcere emesse dal Tribunale di Milano per traffico internazionale di stupefacenti. È la stessa accusa che gli contesta nel 1995 il gip di Palermo in un’altra inchiesta.

Ma Rocco Morabito era già diventato un fantasma. Di lui si erano perse le tracce e il suo nome fino al 2017, compariva raramente negli atti delle recenti inchieste antimafia. Eppure nel corso della lunga latitanza, Tamunga non ha mai abbandonato il suo ruolo nel narcotraffico mondiale. Attraverso di lui, la ‘ndrangheta ha incassato miliardi di euro con la cocaina che arrivava dal Sudamerica. Soldi che poi venivano riciclati in acquisti immobiliari e attività imprenditoriali. Ecco perché la sua estradizione era considerata una priorità per il procuratore di Reggio Calabria Giovanni Bombardieri e per l’aggiunto Giuseppe Lombardo.

Nonostante il via libera della Corte suprema federale (Stf) del Brasile, a un anno dall’ultima cattura, le procedure per fare arrivare Morabito in Italia sembravano essersi arenate al ministero della giustizia del Paese sudamericano. L’impasse è stata però superata nelle ultime ore grazie all’intensa attività di raccordo tra l’ambasciata d’Italia in Brasile, il Progetto I-Can e le autorità brasiliane. E dopo aver trascorso quasi metà della sua vita in fuga, Tamunga pagherà il suo conto con la giustizia.

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