Il grano viene scambiato oggi a circa il 30% in meno rispetto a due settimane fa. Il rame, il metallo più sensibile all'andamento dell'economia, ha perso in due settimane un quarto del suo valore. La banca statunitense Citi si è spinta ad ipotizzare un petrolio al di sotto dei 65 dollari entro la fine dell'anno
Timori di recessione, soprattutto e anche qualche. Sta di fatto che i prezzi di molte materie prime hanno iniziato a scendere fornendo qualche segnale positivo, almeno per quanto attiene il contrasto all’inflazione. Il petrolio si è immerso oggi al di sotto dei 100 dollari al barile (qualità brent, il greggio estratto nel mare del Nord che funge da riferimento per gli scambi europei), cosa che non accadeva dallo scorso aprile. Nell’ultimo mese il barile ha perso il 16% del suo valore. Calo in parte attenuato dall’indebolimento dell’euro (il petrolio si paga in dollari) ma comunque consistente. Incoraggiante anche la discesa dei prezzi alimentari con il grano viene scambiato oggi a circa il 30% in meno rispetto a due settimane fa. Sul cereale influisce anche una stabilizzazione del mercato dopo le violente oscillazioni causate dalla guerra, così come le prospettive di un possibile accordo per la ripresa dell’export dall’Ucraina. Il rame, il metallo più sensibile all’andamento dell’economia, ha perso in due settimane un quarto del suo valore. Flessioni paragonabili per l’alluminio e lo zinco. In discesa sono poi le quotazioni dell’acciaio.
I timori di recessioni hanno ri-orientato anche le posizioni speculative, gli hedge fund hanno scaricato i derivati che puntavano ad un rialzo delle quotazioni per adottare una strategia opposta. Movimenti che sono conseguenza e non causa della discesa delle quotazioni ma che la amplificano. Difficile dire se e quanto questa tendenza potrà continuare, a maggior ragione in considerazione dell’alta incertezza geopolitica. Qualche giorno fa la banca statunitense Citi si è spinta ad ipotizzare un petrolio al di sotto dei 65 dollari entro la fine dell’anno. La Federal Reserve fa però sapere che “Il rischio di inflazione in Usa potrebbe consolidarsi”. Da questi riscontri parrebbe che la strategie delle banche centrali inizi a produrre degli effetti. Il rialzo dei tassi di interesse drena denaro dal sistema economica e rende più costosi investimenti e prestiti. Questo provoca un rallentamento dell’economia e quindi pressioni al ribasso sui prezzi. I primi a risentirne sono i prezzi industriali, in un secondo momento anche quelli al consumo e quindi l’inflazione.