La contesa per il Mediterraneo orientale che negli ultimi anni ha visto contrapporsi Grecia e Turchia, entrambi membri della Nato, è ben lontana dal risolversi e anzi sta coinvolgendo sempre di più un altro dominio: quello del cielo. Sia Atene che Ankara stanno puntando a un rafforzamento delle rispettive aeronautiche nazionali e delle proprie capacità di difesa anti-aerea nel tentativo di imporre il proprio controllo su quell’area del mare nostrum appartenente ufficialmente alla Grecia ma su cui la Turchia continua a rivendicare dei diritti. Il governo turco infatti contesta con sempre maggiore forza la delimitazione delle acque territoriali e delle zone economiche esclusive di Atene, soprattutto dopo la scoperta di importanti giacimenti di gas nei dintorni di Cipro, il cui valore è ulteriormente aumentato con la crisi energetica innescatasi dopo lo scoppio della guerra in Ucraina.

Ma per imporre il proprio controllo sul mare e limitare le capacità belliche della controparte, Grecia e Turchia hanno bisogno di affermare il proprio predominio anche sui cieli. In questa corsa al rafforzamento delle flotte aree, però, sono stati coinvolti anche gli Stati Uniti, a cui entrambi i paesi si sono rivolti per acquistare nuovi caccia e per ammodernare quelli di cui sono già dotati. Mettendo così il presidente Joe Biden in una posizione decisamente scomoda in un momento in cui scontentare la Turchia rischia di avere ripercussioni anche sulla guerra in Ucraina.

A complicare ulteriormente il quadro sono state poi le ultime mosse del premier greco Kyriakos Mitsotakis, che nel suo discorso di maggio al Congresso americano ha chiesto ai deputati di bloccare la vendita di 40 F-16 e di altri 80 kit di aggiornamento alla Turchia per evitare un ulteriore aumento dell’instabilità nel Mediterraneo orientale. Ma l’intervento del primo ministro ellenico non è servito solo per portare avanti un’operazione di lobbying anti-turca. Mitsotakis ha anche preparato il terreno per richiedere ufficialmente l’inserimento della Grecia nel programma F-35, da cui la Turchia è stata esclusa a seguito dell’acquisto del sistema di difesa anti-missilistico russo. Grazie alla compravendita dei jet americani di quinta generazione, Atene riuscirebbe a dotarsi di un’aeronautica nettamente superiore rispetto a quella turca entro il 2030 anche nel caso in cui Ankara ottenesse, sempre dagli Stati Uniti, dei nuovi F-16. La Grecia infatti può contare anche su ottantaquattro F-16, la cui consegna terminerà nella metà del 2027, e su ventiquattro Rafale, i jet di quarta generazione prodotti dalla Francia e già di per sé più avanzati rispetto ai caccia che al momento compongono l’arsenale turco. A dimostrazione del fatto che, a differenza di Ankara, Atene può fare affidamento non solo su legami maggiormente solidi con gli Stati Uniti, ma anche sul sostegno della Francia, più volte intervenuta in difesa degli interessi greci tanto sul piano diplomatico quanto su quello militare.

Anche la Turchia però ha le sue carte da giocare per limitare la supremazia greca nei cieli del Mediterraneo. Prima di tutto, Ankara sta sfruttando il desiderio di Svezia e Finlandia di entrare nella Nato per ottenere da Washington quantomeno il via libera alla vendita degli F-16 nel più breve tempo possibile. Nel giro di pochi anni i caccia in dotazione alle forze turche saranno obsoleti, per cui la Turchia deve agire in fretta per non trovarsi in una condizione di eccessiva inferiorità rispetto alla Grecia. In secondo luogo, Ankara può contare sui droni Bayraktar TB2, che rappresentano un problema per le isole greche. I velivoli senza pilota di produzione turca sono stati più volte usati per violare lo spazio aereo ellenico e per monitorare i movimenti delle navi militari intorno alle isole contese, costringendo spesso l’aeronautica greca ad intervenire. Per tutta risposta, la Grecia ha da poco iniziato ad installare sul proprio territorio un sistema di difesa anti-aerea di produzione israeliana che, grazie ad un sistema laser, neutralizza i velivoli senza pilota interferendo con i sistemi di comunicazione e Gps.

Il Drone dome rappresenterà quindi un ulteriore vantaggio per la Grecia, che tramite questo acquisto è anche riuscita a rafforzare i propri legami con Israele, ugualmente interessato a limitare il potere della Turchia nel Mediterraneo. A causa della contesa marittima tra Atene e Ankara, infatti, lo Stato ebraico ha dovuto assistere alla bocciatura da parte degli Usa del progetto EastMed, il gasdotto che avrebbe dovuto consentire al gas israeliano di arrivare Salento passando per Cipro ed evitando invece la Turchia. Il progetto però è tornato nuovamente al centro dell’attenzione internazionale con lo scoppio della guerra in Ucraina e con rottura dei rapporti commerciali con la Russia. Tutte dinamiche che giocano a favore della Turchia, unico paese in grado di mediare tra occidente e Mosca e che sta sfruttando il più possibile la sua attuale posizione di forza per il proprio tornaconto. Anche a discapito di un paese che fa ugualmente parte dell’Alleanza atlantica e che Ankara dovrebbe pertanto considerare un proprio alleato, piuttosto che un nemico. Eppure, proprio nel momento in cui la Nato apre le sue porte a Svezia e Finlandia (sempre dietro concessione della Turchia), due storici membri dell’Alleanza si contendono la supremazia del Mediterraneo orientale, indebolendo un fronte che vuole invece mostrarsi il più compatto possibile di fronte alla Russia.

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