Telecom Italia accelera sulla vendita della rete, operazione da realizzare attraverso uno “spin off”, ossia la creazione di un’unità industriale a se stante di cui verrebbe poi ceduta la quota di controllo ad un gruppo di investitori guidati da Cassa Depositi e Prestiti a ai fondi Kkr e Macquarie. L’ attività di rete denominata Netco verrebbe poi integrata con Open Fiber, a sua volta controllata da Cdp e Macquaire. Per arrivare alla Rete Unica, se tutti i tasselli andranno a posto ci vorrà un anno e mezzo, ha spiegato oggi il direttore finanziario del gruppo Adrian Calaza nel corso del al Capital Market Day. “A fine ottobre è il tempo necessario per la documentazione vincolante, l’esecuzione richiederà circa 15-18 mesi, cercheremo di accorciare questo percorso ma si tratta di un progetto complesso e i tempi non sono al 100% sotto il nostro controllo” ha detto il manager.
L’operazione ridurrà il debito a carico del gruppo Telecom di circa 11 miliardi di euro, riducendolo al di sotto dei 20 miliardi. Secondo Tim Netco genererà guadagni prima del pagamento di interessi e tasse per 2,2 miliardi di euro a partire dal 2025, con ricavi intorno ai 5,4 miliardi, per poi salire a 2,7 mld dal 2027. “NetCo può essere il primo esempio in Europa di infrastruttura di rete in fibra e hub tecnologico disponibile per l’intero mercato e con una presenza capillare su tutto il territorio nazionale”, ha sottolineato Telecom Italia in una nota. L’amministratore delegato Pietro Labriola ha dichiarato che la separazione della rete è una “priorità assoluta”. Il piano di Tim punta a concludersi con la creazione della rete unica, fondendo Netco con Open Fiber ma “siamo pronti a gestire tutti gli scenari” ha precisato Calaza. “Abbiamo anche delle opzioni alternative, per una leva finanziaria sostenibile anche se la fusione con Open Fiber non dovesse avvenire, come la cessione di quote di minoranza in Tim enterprise o la quota in netco”. Lo scenario preferito non ve lo devo dire – si rivolge poi agli analisti l’a.d. Labriola – che il migliore è la vendita a Cdp di Netco, per avere una parte di quella sinergia, ma per ballare il tango non si può essere da soli”.
Il piano prevede anche che tutti i servizi commerciali dell’azienda vengano scorporati in un’unità denominata ServiceCO, che includerà una divisione per consumatori privati e una per le aziende oltre ad un’unità dedicata alle attività in Brasile. Serviceco nascerà con un debito di 5 miliardi. Per Tim Enterprise “abbiamo grandi ambizioni con ricavi da 3 miliardi a 5 miliardi nel 2030 con un cambio del mix, il cloud sarà il maggior servizio con un contributo del 50% ai ricavi”, ha detto l’a.d. Pietro Labriola. L’ebitda si stabilizzerà ben sopra il 34% a oltre 1,7 miliardi (dagli attuali 0,9 miliardi con un margine del 32%). “Abbiamo un orizzonte temporale in tre fasi: fino a fine 2022, 18-24 mesi per evoluzione di un’azienda autonoma e dal 2025 un’accelerazione della crescita” conclude.
Maxi sforbiciata agli organici – La nuova Tim, nel 2030 al termine del piano di riorganizzazione, avrà anche meno dipendenti. La riorganizzazione prevede una riduzione di oltre 9 mila unità di cui circa 6,4 mila nella Netco che passerebbe dagli attuali previsti 21,4 mila addetti a 15 mila. Altri 3 mila tagli saranno nella divisione consumer cove i dipendenti scenderanno da 14 a 11 mila o anche meno perché “altre azioni sono in valutazione” precisano le slide di presentazione del piano. La divisione enterprise avrà invece bisogno di circa 5,5 mila persone (pressoché quelle già impiegate che dovrebbero essere 5,3 mila).
Per rilanciare e risanare il business Consumer delle tlc “dobbiamo lavorare sulla qualità e sull’immagine dell’azienda e non sui prezzi” altrimenti sarebbe di nuovo guerra di prezzi, ribadisce l’amministratore delegato di Tim rispondendo agli analisti. “Chiunque vuole raggiungere 100 milioni di euro di ebitda (gli utili prima del pagamento di interesse, tasse e ammortamenti, ndr) deve avere il 15% di quota di mercato e rubarla agli altri, che non staranno a guardare. Potrebbe creare una reazione che scatenerebbe una guerra dei prezzi”, scenario inaccettabile. “Già nei prossimi trimestri sapremo mostrarvi che la nostra strategia funziona” promette il manager segnalando che un percorso di crescita si vedrà già nel 2023. Il mercato delle tlc in Italia dovrà presto arrivare a un consolidamento e Tim vuole farsi trovare pronta. “Guardando ai dati in Italia si possono reggere 2 o 3 reti mobili, il mercato italiano non può reggerne quattro. Per questo il mercato andrà verso un market repair e noi, se perderemo l’integrazione verticale (con la cessione della Rete, ndr) potremo avere un ruolo, restando verticalmente integrato avrei più difficoltà” spiega Labriola. “Ci aspettiamo una crescita della linea fissa media annua del 2% al 2030”, ha illustrato l’amministratore delegato.
Dividendo? Forse – Tim non si è sbilanciata su un possibile ritorno al dividendo. “Non siamo in grado di rispondere a quella domanda, lo faremo dopo gli utili”, ha risposto il direttore finanziario agli analisti. “E’ una decisione che il cda prenderà con l’anno intero. Dipenderà dall’utile netto, oggi non siamo in grado di rispondere“. Calaza ha ribadito che l’obiettivo prioritario è di scendere sotto i 5 miliardi di debito e il resto potrà essere usato per la remunerazione degli azionisti. Durante la presentazione del piano il titolo di Telecom ha virato al ribasso in borsa salvo poi recuperare le perdite. “Il valore di Tim è di certo superiore a quello attuale. Non ci siamo mai aspettati che a valle del Capital Market Day il titolo salisse. Se avessi detto che vendevo la rete a un valore XYZ altissimo era un ‘trigger’ che poteva portare a un aumento dell’azione. Ma qui c’è un piano industriale, dobbiamo recuperare la fiducia del mercato e dimostrare che siamo in grado di eseguire il piano”, ha commentato Labriola.