Il “caso Messa” finisce in Parlamento. Toccherà al ministro della Giustizia accertare e prendere eventuali provvedimenti sulla vicenda rivelata dal Fatto delle pressioni che Maria Cristina Messa avrebbe fatto quando era rettrice della Bicocca per favorire consoli a lei vicine affinché conseguissero un master in cui erano state bocciate, vicenda per la quale l’Usb ricerca ieri ha chiesto le dimissioni da ministro dell’Università. Il caso approda alla Camera con un’interpellanza del vicepresidente Fabio Rampelli (leggi). Il deputato di Fdi sottolinea come “la notizia sia passata clamorosamente in sordina”, e interpella il ministro Marta Cartabia e la stesa Messa per sapere “se e quali immediate iniziative di competenza, anche di carattere ispettivo, il Governo intenda assumere per fare chiarezza sulla grave vicenda di cui in premessa”. Il testo ripercorre i fatti resi pubblici dallo scoop del Fatto mai smentiti da parte dell’università interessata.
Il ministro Messa invece inizialmente aveva smentito qualunque forma di pressione (“sono cose che non faccio né farei mai”) e perfino di conoscere le “beneficiarie”. L’indomani però sono stati pubblicati stralci dei verbali dei docenti del master, mail inviate alla rettrice e registrazioni che le suffragavano. A quel punto Messa ha cambiato versione: ai microfoni di Radio24, che le chiedeva spiegazioni, non negherà più di conoscere le funzionarie, né di essersi spesa per loro perorando la causa di una proroga “ad personam” perché recuperassero frequenze ed esami. Il ministro al quel punto le rivendicherà, al motto “il mio lavoro è ascoltare tutti gli studenti, incluse queste tre studentesse”.
La vicenda era anche approdata in Procura perché la docente che aveva fatto muro alle richieste della rettrice, l’avvocato di Milano Samantha Ravezzi, le aveva denunciate ai magistrati a maggio 2018, ipotizzando in capo a Messa i reati di abuso d’ufficio e traffico d’influenze. L’indagine fu poi archiviata dopo tre anni, sette dopo il giuramento a Palazzo Chigi. Potrebbe però riaprirsi ora. Per un errore il Tribunale di Milano aveva notificato l’archiviazione a un indirizzo sbagliato, impedendo così alla parte offesa di opporsi alla decisione nei termini previsti dalla legge, cosa l’avvocato-docente che ha appena fatto con un ricorso al giudice monocratico che potrebbe portare alla riapertura delle indagini integrate anche dai muovi elementi emersi dall’inchiesta del Fatto.