L’Italia è l’unico Paese dell’Unione europea ad avere una mafia capace di minacciare le istituzioni, ma è anche l’unico ad avere un movimento civile antimafia capace di tenere alta l’attenzione. Quello che è successo a Milano l’altra sera ne è una conferma: centinaia di persone scese in piazza per mandare un messaggio di solidarietà ai magistrati più esposti e in particolare a Nicola Gratteri, sempre nel mirino delle cosche anche secondo l’Fbi americano, che ne avrebbe informato l’intelligence italiana.
Le cronache parlano di oltre 150 sigle associative coinvolte e di numerosi esponenti delle istituzioni, tra cui il presidente della commissione parlamentare antimafia Nicola Morra, accomunati dallo slogan: Mai più stragi! Gridato prima e non dopo. Perché, hanno detto gli organizzatori, dagli errori del passato bisogna imparare e “l’errore” per antonomasia è stato quello di sottovalutare la gravità del fenomeno mafioso, consentendo che fossero isolati i più esposti: magistrati ma anche politici, preti, sindacalisti, imprenditori, giornalisti, prefetti, poliziotti, carabinieri e finanzieri.

Oggi la storia, almeno per alcuni versi, non sembra tanto diversa da allora. Le minacce nei confronti di Gratteri si collocano in un quadro fatto di tanti elementi, non tutti negativi, anzi! L’estradizione di Rocco Morabito dal Brasile è una buona notizia, come lo è l’operazione Riscatto II della procura di Reggio Calabria, resa possibile anche dalla denuncia di alcuni imprenditori sottoposti a richieste estorsive. Come pure è una buona notizia la candidatura dell’Italia ad ospitare la nuova agenzia europea anti-riciclaggio (per la cronaca: il presidente della regione Piemonte, Cirio, ha annunciato che andrà ad offrire come sede dell’agenzia nientemeno che lo storico palazzo della regione Piemonte in piazza Castello a Torino!). Mi pare una buona notizia anche la scelta fatta da un gruppo di magistrati, che si prepara all’imminente rinnovo del Csm, di procedere alla formazione della lista tramite sorteggio dei candidati: un segnale radicale di opposizione alla degenerazione correntizia, che tanto ha minato il prestigio della magistratura italiana.

Dentro questo quadro ci sono – come è naturale – anche elementi negativi: la mancanza di una norma quadro che sostenga le donne appartenenti a famiglie mafiose, che intendano rompere ogni rapporto per sé e per i propri figli minori (proprio l’operazione Riscatto II, che ha messo in evidenza la spudoratezza con la quale gli ‘ndranghetisti si avvalessero anche di minori per i loro traffici, dovrebbe sollecitare ulteriormente governo e Parlamento); il ritardo nell’estradizione di Nicola Assisi, altro broker del narcotraffico targato ‘ndrangheta; la mancata estradizione di Amedeo Matacena dagli Emirati Arabi (tra poco scatterà a suo favore l’art. 172 cp che estingue la pena quando lo Stato non riesca a farla scontare al condannato), la prevedibile circolazione di un maggior numero di armi pesanti sul mercato nero a disposizione delle mafie a causa della guerra in Ucraina, eccetera.

Ma c’è una domanda alla quale bisognerebbe dare una risposta per capire qualcosa di più su un punto cruciale che fa la differenza tra il fisiologico andamento di un conflitto non concluso, che ha i suoi alti e bassi, e un conflitto nel quale le forze istituzionali propendano per una rinnovata versione di quella “normalizzazione” che per decenni in Italia ha consentito lo scambio di convenienze vergognose tra Stato e organizzazioni mafiose. La domanda è: da quando i servizi italiani sanno dall’Fbi dei piani concreti di morte contro Nicola Gratteri? Di conseguenza: da quando ne sono stati informati i vertici istituzionali che hanno titolo a ricevere una notizia del genere?

Sarebbe importante in particolare sapere se le istituzioni italiane fossero a conoscenza di questa informazione nel momento in cui, soltanto qualche settimana fa, il Csm ha proceduto al rinnovo del vertice della procura nazionale antimafia e antiterrorismo, carica alla quale era candidato, tra gli altri, lo stesso Gratteri. Il quale non è stato eletto: ricordo le parole allarmate del dottor Di Matteo, componente del Csm, che allora parlò senza mezzi termini di messaggio devastante inviato alle cosche con quella bocciatura, che alla luce di questi nuovi elementi qualcuno avrebbe potuto anche interpretare come una sorta di “nulla osta”.

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