“L’America deve ricordarsi dell’Alaska“. A parlare è stato il presidente della Duma di Stato russa, Vyacheslav Volodin in aula, nella seduta finale della Camera bassa del Parlamento, prima della pausa estiva, ripescando uno dei temi classici, e totalmente privi di basi reali, della retorica revanchista russa. “Quando cercano di appropriarsi delle nostre risorse all’estero, inizino a pensarci due volte prima di agire, perché anche noi abbiamo qualcosa da riprenderci”, ha affermato, ricordando la proposta del suo vice, Pyotr Tolstoy, per un referendum in Alaska per l’adesione alla Federazione russa.
“Non interferiamo nelle questioni interne degli Stati Uniti”, ha aggiunto, trattenendo una risata, fra gli applausi dei deputati. La Russia ha venduto l’Alaska, dove i primi russi si erano insediati nel Seicento, aprendo spedizioni per il commercio delle pelli con la Siberia nella prima metà del Settecento, agli Stati Uniti nel 1867 per 7,2 milioni di dollari, una cifra tanto bassa da innescare risentimento nei russi – e in un primo momento anche negli americani che mettevano in discussione la necessità di acquisire una “ghiacciaia”- per la decisione dello zar.
L’interesse di Mosca per l’Alaska si era manifestata anche oltre un anno fa quando immagini satellitari ottenute dalla Cnn avevano mostrato un “continuo” rafforzamento delle basi militari russe lungo la costa artica del Paese, oltre a strutture di stoccaggio sotterranee probabilmente per ospitare i droni subacquei nucleari strategici Poseidon e altre nuove armi ad alta tecnologia. L’emittente tv americana sottolineava che l’hardware russo nell’estremo nord include bombardieri e jet MiG31BM e nuovi sistemi radar proprio vicino alla costa dell’Alaska.