La recente catastrofe della Marmolada, gli altri ghiacciai alpini che a loro volta spariranno presto causando analoghi se non peggiori disastri, la siccità dilagante, la diffusione di specie predatorie come le cavallette in Sardegna, l’insopportabile caldo torrido che stiamo vivendo in tutto il Paese, l’innalzamento del livello dei mari, il tentativo disperato di decine di milioni di profughi cosiddetti ambientali di sfuggire a un tragico destino di morte abbandonando territori oramai votati alla desertificazione sono solo alcune delle conseguenze del cambiamento climatico in atto oramai da tempo.

La drammaticità della situazione è nota da tempo ai governi e alle organizzazioni internazionali. Eppure non si registrano reazioni all’altezza della situazione. I già di per sé insufficienti impegni che emersero, sei anni e mezzo fa, dalla Conferenza di Parigi sono stati ulteriormente annacquati. Prima la pandemia e poi la guerra in Ucraina hanno ulteriormente privato di rilevanza il tema e indebolito le misure da adottare. La figura di Greta Thunberg, adolescente svedese protagonista qualche tempo fa di una significativa campagna di mobilitazione che riusciva a ricevere qualche eco anche sui media più insensibili e refrattari, è stata prima assoggettata a insulti, diffamazioni e tentativi di ridicolizzazione e poi è sparita completamente dagli schermi, a beneficio dei virologi e del presidente ucraino colla sua ossessionante richiesta delle armi il cui utilizzo, egli spera vanamente, potrebbe invertire il corso della guerra.

I fenomeni reali tuttavia, come dimostrato dalle disgrazie elencate in apertura di questo intervento, se ne fottono ampiamente di quello che scrivono o dicono i media e il cambiamento climatico continua, divenendo già oggi in buona misura irreversibile. La sensazione è quella di una gigantesca rimozione di un problema essenziale la cui soluzione appare imprescindibile per garantire un futuro all’umanità. Ma un problema, specie se di questa portata, non si risolve ignorandolo.

È d’altronde noto, o quantomeno dovrebbe esserlo ai non totalmente analfabeti (specie peraltro sorprendentemente in crescita anche nel mondo sedicente sviluppato, coll’Italia in pole position), che ogni problema nasce da una determinata costellazione degli interessi di settori della società e dell’economia e dei rapporti di forza tra essi.

Conviene quindi rivolgere la nostra attenzione ai concreti interessi sociali ed economici che ostacolano oggi la lotta al cambiamento climatico. Colpisce, da tale punto di vista, quanto contenuto in un articolo pubblicato dal quotidiano britannico Guardian e opportunamente tradotto e ripubblicato dalla rivista italiana Internazionale nel numero 1466 del 24-30 giugno di questo anno. In sostanza l’articolo in questione ci rivela, per riprendere testualmente quanto scritto nel catenaccio, che “le aziende dei combustibili fossili hanno già approvato enormi progetti per lo sfruttamento di nuovi giacimenti, che porteranno l’aumento delle temperature globali oltre tutti i limiti fissati dagli accordi internazionali”. Abbiamo quindi la conferma del fatto che, mentre il comportamento di facciata dei governi pare ispirato dalla preoccupazione di contrastare il cambiamento climatico in atto, le forze reali dell’economia procedono in senso diametralmente opposto e non rispondono a stimoli differenti da quelli consueti del proprio profitto a breve termine, anche a costo di rendere irreversibilmente invivibile il pianeta per la nostra generazione e, ancora di più, per quelle future.

Si sa del resto come i governi siano, al di là delle chiacchiere fumose in cui sono maestri insuperabili (i blablabla di cui parlava Greta), manovrati dalle lobby economiche e finanziarie, tra le quali quelle energetiche, ardenti seguaci del fossile che garantisce loro guadagni insuperabili. Basti pensare a un personaggio come l’attuale ministro della transizione ecologica Roberto Cingolani che si è affannato a portare l’Italia a votare contro lo stop ai motori a benzina e diesel da qui a qualche anno. Ma vi sono prove a iosa sul fatto che i governi, a cominciare da quelli occidentali, sedicenti alfieri della democrazia e dell’ambiente, siano in realtà controllati dalle lobby che, per mezzo loro, estendono a tutto il mondo il loro dominio nefasto. Si vedano al riguardo le rivelazioni di Wikileaks sul governo nigeriano ed altro, per le quali, insieme a molte altre, Julian Assange è oggi ostaggio del potere criminale che si accinge a condannarlo ad almeno 173 anni di galera.

Possiamo quindi concludere che il caldo torrido, i disastri e la crescente invivibilità di un pianeta che sarà presto, a cominciare dalla regione mediterranea, quasi integralmente desertificato, non sono il risultato del destino cinico e baro o di una non meglio precisata colpa collettiva o anche – come i media occidentali hanno tentato di farci credere – della Cina o dell’India; ma di un radicato sistema di potere, in massima parte occidentale, corrotto e irresponsabile che va rovesciato al più presto con ogni mezzo possibile e necessario.

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