Pubblichiamo un intervento del ricercatore Inapp Massimo De Minicis, esperto di mercato del lavoro*
Secondo recentissimi dati Inapp Plus sui lavoratori delle piattaforme digitali in Italia, il 35% dei più di 570.000 soggetti che lavorano tramite una Platform work lo fanno con prestazioni assegnate, organizzate e valutate da un algoritmo, svolte completamente on line, con compiti lavorativi realizzati unicamente all’interno della rete. In letteratura definibili come attività professionali realizzate attraverso piattaforme on web based (es. Amazon Mechanical Turk, Google Cloud Platform). Tali piattaforme oltre a coinvolgere soggetti a cui non sono richieste alte e specifiche competenze, per la realizzazione di compiti come il riconoscimento di immagini, la distinzione e descrizione di annunci pubblicitari, utilizzano spesso anche lavoratori altamente qualificati, ingegneri informatici, editor tecnici, ingegneri dell’affidabilità del sito, utilizzati dalle piattaforme in forme diversificate, alcuni come dipendenti interni alla struttura aziendale, altri come lavoratori esterni, appaltatori di singole o più task. Così una buona parte del lavoro su piattaforma in Italia sembra raffigurare una fenomenologia lavorativa complessa, poco visibile, fortemente atomizzata.
Un fenomeno esteso, se consideriamo che i più noti lavoratori delle piattaforme, i rider, rappresentano il 36% del lavoro su piattaforma nel nostro paese. Tali dati ci riportano ad alcune riflessioni su un possibile futuro del mercato del lavoro nel nostro paese con fasi della produzione, completamente esternalizzate digitalmente nella rete, dinamiche da anni sperimentate in maniera consistente in altri contesti internazionali. Proprio in tali contesti negli ultimi anni stanno maturando processi non solo di emersione e trasparenza dei lavoratori digitali con prestazioni on web based, ma anche prime strutture di rappresentanza sindacale. Negli Stati Uniti, ad esempio, dal 2011 è iniziato un articolato e interessante processo di emersione del lavoro digitalizzato qualificato on line, che dopo alcune fasi di mobilitazione su alcuni temi specifici (la lotta contro forme di discriminazione, il riconoscimento degli stessi diritti e retribuzioni per gli ingegneri informatici interni ed esterni all’organizzazione aziendale, la reale attuazione di codici etici nelle politiche di sviluppo di software e algoritmi) ha portato nel 2021, essenzialmente nel contesto cloud di Google, alla creazione di un sindacato, l’Alphabet workers Union (AWU), aderente al più strutturato sindacato delle telecomunicazioni CWA.
Tale forma di sindacalizzazione ha una genesi particolare, che segue, in una sorta di nemesi storica, il percorso di alterazione dell’originario concetto di sharing economy su cui sui si basava la prima retorica dell’economia delle piattaforme. Alphabet (Google) nasceva, infatti, come un percorso imprenditoriale innovativo, determinante una cesura completa con le forme organizzative verticali e internalizzate tayloriste. Con lo slogan don’t be evil, l’azienda prefigurava un percorso di organizzazione della produzione partecipativo, libero, instaurando una comunità eticamente orientata, dedita più che al profitto al benessere collettivo. Ma quando molti lavoratori digitali, con qualifiche importanti, attratti da tale narrativa, hanno visto disattesi in alcune fasi tali principi, in una evoluzione produttiva che ha visto la sharing economy trasformarsi in un più tradizionale capitalismo delle piattaforme, basato sulla verticalità delle decisioni e sul controllo delle prestazioni lavorative nei tempi e nei modi stabiliti dal piano datoriale, hanno deciso di fare qualcosa per ripristinare quei principi di etica e partecipazione di organizzazione della produzione da cui erano stati attratti inizialmente.
Così costituendosi come sindacato l’obiettivo dell’AUW è quello di riaffermare la democrazia partecipativa sul posto di lavoro, richiedere il ripristino di spazi di discussione e confronto tra i lavoratori digitalizzati, garantire protezione e uguali diritti sindacali e retributivi per tutti i lavoratori compresi i meno protetti, esterni, contingenti, appaltatori, fornitori meno qualificati in una logica di radicale solidarietà tra tutti i lavoratori coinvolti nell’azienda; mostrandosi come una organizzazione sindacale innovativa, capace di rappresentare tutte le forme lavorative in nuovi ambienti produttivi virtuali radicalmente fessurizzati e frammentati che applicano la filosofia produttiva Lean in maniera totale attraverso l’utilizzo di algoritmi. La capacità di coinvolgere nelle decisioni tutte le dimensioni e forme lavorative di Alphabet rappresenta un principio costitutivo di AWU insieme a quello di garantire l’eticità dei prodotti digitalizzati realizzati.
Così citando un ingegnere informatico iscritto si evidenziano alcune motivazioni della nascita del sindacato degli ingegneri informatici delle piattaforme: “Il motto di Google era “non essere malvagio”, so che stando insieme ai miei colleghi, organizzandoci, possiamo lottare attivamente per il bene di tutti i lavoratori e per le milioni di persone che usano i nostri prodotti ogni giorno garantendo il rispetto dei principi di contenuti etici nei prodotti virtuali sviluppati, in modo da ripristinare e rendere effettivo quel motto”. La trasformazione della economia della condivisione in una più tradizionale struttura di produzione taylorista ha comportato così, inevitabilmente, la necessità per i lavoratori, affascinati inizialmente da una innovativa narrativa aziendale, di riscoprire il valore di organizzarsi in strutture collettive di difesa e rappresentanza dei loro interessi, come nelle prime storiche forme di rappresentanza operaia, anche se in termini innovativi e digitalizzati. Processo che attualmente in Italia sta maturando tra lavoratori delle piattaforme definibili come rider, ma che in futuro potrà fare emergere quelle stesse contraddizioni, presenti negli Stati Uniti, anche per il lavoro completamente on line più o meno qualificato.
m.deminicis@inapp.org
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