Una denuncia che si trasforma in un “progetto di collaborazione”. Un patto segreto da 25 milioni di dollari con l’Organizzazione mondiale del lavoro (ILO) per coprire gli abusi nei cantieri e salvare l’immagine dei Mondiali di calcio in Qatar. È la testimonianza di Abdullah Zouhair, giurista esperto di diritto del lavoro, che ha lavorato per anni all’ILO come capo dell’ufficio per il Medioriente, raccolta nell’inchiesta di Olivier-Jourdan Roulot per il giornale francese Blast. L’ennesimo scandalo che si abbatte sulla manifestazione, a pochi mesi dal calcio d’inizio.
I Mondiali 2022 in Qatar, in programma dal prossimo 21 novembre al 18 dicembre, saranno uno degli eventi sportivi più controversi della storia. Nell’ultimo decennio, da quando furono assegnati nel dicembre 2010, si sono succedute numerose accuse e inchieste di corruzione e scandali vari. Tra questi, anche la denuncia da parte di prestigiosi quotidiani come The Guardian, o riconosciute associazioni come Amnesty International, sullo sfruttamento dei migranti per la costruzione degli avveniristici stadi e delle infrastrutture all’avanguardia che il governo di Doha ha progettato per un evento da oltre sei miliardi e mezzo di dollari.
Un investimento faraonico, sulla pelle dei lavoratori stranieri attraverso lo strumento della “kafala”, che permette agli immigrati di entrare nel Paese per lavorare solo attraverso la “sponsorizzazione” di un cittadino o un’azienda qatariota, che però diventa così padrone del suo passaporto e del suo destino: il lavoratore non può cambiare impiego, non può trasferirsi, e finisce per dover accettare a tempo indeterminato in condizioni disumane e da fame. Il Guardian ha stimato addirittura 6.500 lavoratori del sudest asiatico morti in Qatar dal 2010, cifra contestata dal governo per cui i morti sul lavoro nei cantieri degli stadi sono stati appena 39. Ma secondo le statistiche ufficiali nell’ultimo decennio a Doha ci sono stati ben 15mila morti di cittadini stranieri, in circostanze non meglio specificate.
La vicenda inizia nel 2014, quando trapelano le prime testimonianze sulle condizioni nei cantieri di Doha, e diversi sindacati membri presentano una denuncia formale all’ILO. Il governo qatariota è preoccupato, e si rivolge proprio a Zouhair, che ha una lunga esperienza di collaborazione con i Paesi arabi. Doha gli chiede una visita informale, lui preferisce informare i vertici dell’organizzazione e una volta a colloquio col ministro mette subito le cose in chiaro. “Gli ho spiegato che non c’era altra soluzione che abolire il sistema della Kafala”, anche perché era quello il mandato ricevuto dalla commissione di esperti dell’Ilo. “Ma “il ministro Abdullah Saleh Mubarak al-Khulaifi voleva trovare una via d’uscita senza abolizione”.
La missione è un fiasco perché le due parti non trovano un accordo, ma al suo ritorno a Ginevra, dove ha sede l’organizzazione, qualcosa effettivamente succede. Secondo quanto raccontato da Zouhair, le tre persone che avevano in mano il dossier vengono licenziate, la direttrice del Dipartimento per le norme internazionali del lavoro va in pensione senza essere rinnovata, e anche lui viene escluso dal caso. Le trattative si trascinano stancamente per tre anni, senza progressi significativi, fino al novembre 2017, quando la denuncia è definitivamente archiviata. In compenso, nel 2018 l’Organizzazione annuncia l’inizio di una “missione di cooperazione tecnica” con Doha, per trovare una soluzione condivisa ai problemi.
Da un giorno all’altro, la situazione si è ribaltata: da una procedura di tipo inquisitorio siamo passati a un accordo di collaborazione, con piena soddisfazione anche del governo di Doha, che spiega di aver messo a disposizione del programma un milione di dollari. Ma la verità sarebbe un’altra, e secondo quanto dichiarato da Zouhair a Blast si trova nascosta all’interno di un libro scritto da Luc Cortebeeck, sindacalista belga eletto nel 2017 nell’organo direttivo dell’Ilo, che nella sua memoria parla di “un programma triennale dell’Ilo di 25 milioni di dollari in supporto tecnico, a carico del Qatar”. Sarebbe quella la vera cifra dell’accordo firmato tra il Qatar, Paese fino a ieri sotto accusa per violazioni dei diritti dei lavoratori, e l’organizzazione che avrebbe dovuto farli rispettare. Il prezzo del silenzio sui Mondiali di calcio 2022. “Non è mai successo nella storia dell’organizzazione che ci fosse un programma a cifre così elevate. E questi soldi sono andati in missioni, viaggi, hotel. Cosa è stato fatto per i lavoratori? Zero. È scandaloso”, denuncia Zouhair.
Nel 2019, il Qatar ha effettivamente formalizzato la fine della “kafala”, ma in assenza di controlli severi e indipendenti nel Paese è difficile verificare la validità di questi annunci. È stato anche introdotto il salario minimo, di 230 dollari al mese, che però per i lavoratori stranieri è stato calcolato sui parametri dei Paesi di origine e non sugli indicatori locali di uno Stato come il Qatar, che ha un prodotto interno lordo pro capite più ricco della Francia. “Definire il salario in rapporto al Paese d’origine vuol dire stabilire che queste persone sono povere perché provengono dal terzo mondo. Questa è discriminazione, l’Ilo ha perso tutta la sua credibilità”, conclude Zouahir. Anche grazie a loro, a novembre si giocheranno i Mondiali in Qatar. “Saranno i migliori di sempre”, ha promesso il presidente della Fifa, Gianni Infantino.