Dal 24 febbraio, data dell’invasione russa dell’Ucraina, il mondo della danza è stato protagonista di una ribalta improvvisa. Non artistica. Politica. Una componente importante della società nei paesi dell’Est europeo
Ballerini ucraini che dal palcoscenico vanno in trincea. Compagnie che non danzano sulla musica di Ciaikovsky, direttori di corpi di ballo russi che raggiungono l’Europa occidentale. Dal 24 febbraio, data dell’invasione russa dell’Ucraina, il mondo della danza è stato protagonista di una ribalta improvvisa. Non artistica. Politica. Una componente importante della società nei paesi dell’Est europeo. “Nel territorio sconfinato dell’ex Unione Sovietica il balletto è seguito come da noi la musica pop. E’ arte popolare”, dice a FqMagazine Liliana Cosi, l’étoile italiana diventata famosa nel mondo proprio a partire dalla Russia. Grazie ai suoi perfetti 32 fouetté del Cigno nero (i più virtuosi giri della ballerina) ha conquistato le platee dell’Urss sin dagli anni ’60. Arrivata a Mosca durante il primo scambio culturale fra teatro alla Scala di Milano e Bolshoi, il suo percorso di “russificazione”, come lo chiama lei, è stato istantaneo. Quel mondo di icone dorate, allestimenti preziosi, sale da ballo che odorano di legno, pece e disciplina sono per lei il colpo di fulmine. Ma dietro le quinte non c’è solo la danza. C’è il ritratto di Lenin che svetta sulle pareti. C’è il Kgb che segue passo passo gli artisti in patria e quelli stranieri. Vuole sapere tutto. Cosa raccontano ai colleghi, dove vanno, che tipo di oggetti scambiano.
Cosa intende quando dice di essersi “russificata”?
Che mi sono ‘russificata’ come ballerina. Non certo come comunista. Ho scoperto a Mosca un mondo artistico inimmaginabile. Con due teatri sempre strapieni e più programmi ogni giorno. Il Bolshoi, 2.500 posti, e il Palazzo Congressi del Cremlino, 6.000 posti. Ho scoperto il metodo di studio Vaganova, molto più scientifico. Per loro una ballerina, qualsiasi cosa faccia, deve muoversi con tutto il corpo, dalla punta dei piedi fino alla testa, ai polsi e alle dita delle mani. Come una continua cantilena delle canzoni popolari russe.
Perché è andata in Unione Sovietica?
Era il 1963 ed ero nel corpo di ballo della Scala. Per iniziativa del ministro della cultura russo, signora Furtzeva, ci fu il primo scambio culturale. Mandarono a Milano i migliori cantanti russi e al Bolshoi cinque ballerine. Io ero fra queste, con Anna Maria Prina, Luciana Savignano e altre due.
Cosa vuol dire ritrovarsi al Bolshoi a 21 anni?
Capire al primo sguardo che la danza è regina delle arti in quel Paese. Ecco perché chiesi di fare le classi anche con loro. Me lo permisero e così potei assistere alle prove. La loro attività era pazzesca. In questo senso mi russificai, perché vivevo dal mattino alla sera al Bolshoi. Gli artisti erano tutti bravissimi, anche gli ultimi. Per tecnica, forza espressiva e coinvolgimento del pubblico. Che arrivava in teatro con gli scarponi da neve e poi, per rispetto del Teatro, tirava fuori dalla borsa le scarpe di ricambio per vedere lo spettacolo. I biglietti costavano pochissimo. Per loro il mestiere del ballerino era più pesante di quello degli scaricatori di porto. Mi cedevano anche il posto in autobus quando scoprivano che ero una ballerina. In Italia invece dicevo di essere un’impiegata perché non c’era questa cultura del balletto.
Per quanti anni ha ballato a Mosca?
Sono stata étoile ospite al teatro Bolshoi di Mosca dal 1968 fino al 1977. Per un totale di 137 spettacoli in tutta l’Urss. Su quel meraviglioso palcoscenico e al teatro del Cremlino ho danzato in diversi titoli del repertorio classico. Con partner quali Alexandr Godunov, Vladimir Vassiliev, Leonid Kaslov, Marius Liepa. Nel frattempo in Europa danzavo con Attilio Labis, Jean Babilée, dell’Opera di Parigi, Desmond Kelly del Covent Garden di Londra. E con Rudolf Nureyev, che però aveva già chiesto asilo politico in Occidente.
All’epoca la fuga di Nureyev aveva creato scalpore….
Lui non aveva premeditato nulla. Era il 1961 ed era in tournée a Parigi con il Kirov. Dovevano proseguire per Londra ma in aeroporto lo hanno bloccato: volevano che tornasse a Mosca. Probabilmente il Kgb aveva controllato le sue amicizie e ne temeva la fuga. Lui deve aver capito che non sarebbe più uscito dalla Russia e allora ha chiesto asilo politico.
E poi
Lui ha fatto una grande carriera, purtroppo i suoi colleghi saranno stati interrogati. Ma altri lo hanno seguito, come Makarova e Barishnikov. Io ballai con Nureyev alla Scala e in tournée con una Compagnia americana in tutta Europa.
Ha mai avuto il Kgb addosso?
Certo, era l’interprete sempre con me. L’angelo custode! Si diventava amici. A volte mi cambiavano di stanza in hotel. Per un guasto al rubinetto, dicevano. Ma sapevo che mi avevano ispezionato ogni cosa. Però nel 1964 successe una cosa che spiazzò perfino i servizi russi. Lo scambio culturale fra Scala e Bolshoi con 600 artisti italiani a Mosca (e vagoni di pastasciutta). Il bazar in hotel era incontrollabile. C’era scambio di qualsiasi cosa: collant, scarpe, riviste con icone e matrioske.
Si sentiva a suo agio controllata?
Personalmente non mi toccava. Io andavo lì per ballare e imparare dai maestri russi e mi bastava. Come étoile ospite al Bolshoi ed étoile fissa alla Scala. Un giorno l’interprete del Kgb disse di aver scritto nel rapporto per il Ministero che ero un’artista santa! Noi da stranieri eravamo privilegiati. I russi invece non avevano passaporto. Però anche loro, da artisti, godevano di qualche privilegio. Una casa più grande. A volte anche una dacia (casa di campagna, ndr) e cibo migliore. Ricordo che l’unico posto dove si potevano trovare le arance era il foyer del Bolshoi.
Il cibo esposto nei negozi di Mosca?
C’erano solo grandi magazzini. Un po’ di carne mista, scatolame, due tipi di formaggi. L’unica verdura era la verza. Una desolazione. Perciò dico che i ballerini avevano qualche privilegio. Solo che la danza non è democratica. Devi avere talento. Al Bolshoi c’erano maestri per tutto: primi ballerini, ètoile, solisti, corpo di ballo. Esperti delle danze di carattere, esperti dei duelli in scena, come per il Romeo e Giulietta. I maestri erano i primi responsabili del successo di un artista. Se non lo raggiungevano venivano puniti.
Lei, da italiana al Bolshoi, è stata una mosca bianca?
Certamente. Ma mi hanno voluto bene. Al secondo anno di stage mi assegnarono il ruolo principale del Lago dei cigni. Cosa mai accaduta. Lo interpretai con Boris Khokhlov il loro primo ballerino. E fu un successo. Tra le quinte mi dissero: “Viva l’Italia”. Da lì seguirono Giselle e La bella Addormentata. Dopo il ritorno in Italia, una lettera con i francobolli sovietici con la proposta di un contratto di tournée in tutta l’Urss. Non me l’aspettavo. Anche perché nel frattempo avevo rilasciato un’intervista scomoda al settimanale Oggi.
Cosa dichiarava nell’intervista a Oggi?
Che c’erano ubriachi che dormivano in strada e file per comprare le mele. Il sovrintendente di allora alla Scala mi chiese spiegazioni. Quello era uno scambio culturale, per l’amicizia dei popoli. Punto. Allora capii che la mia ingenuità era stata grave.
Cosa ricorda oggi di quella lunga esperienza russa?
I miei maestri. La prima ballerina Irina Tokhomirnova, moglie di Messerer, il maestro e zio della grande Maya Plisezkaia. E la piccola folla che mi aspettava a Riga dopo lo spettacolo con i fiori per dirmi “grazie”. In Italia non mi era mai capitato. In Siberia, a Novosibirsk, ricevetti persino un biglietto di corteccia di betulla con scritto: “Dal club dei tersicorei” della Cittadelle delle scienze. Una città di 400 scienziati sul Lago Ob. Ero meravigliata che anche loro fossero amanti del balletto. La danza è per tutti nei paesi dell’ex Unione Sovietica. E’ una tradizione che parte dagli Zar. Non esiste nessuno che non abbia mai visto almeno una volta Il lago dei cigni.