di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Alla inaugurazione della Scala del 2021, la borghesia milanese tributò una standing ovation a Sergio Mattarella invocando il bis. L’omaggio a un presidente di 80 anni a fine settennato era dovuto, chiedere il bis mi sembrò il segno di una borghesia impaurita, chiusa nel proprio guscio, incapace di visione tanto da affidare le proprie speranze a un ottantenne. Identica reazione ebbi quando i media del salotto buono della finanza, che è un corpo sociale contiguo alla borghesia milanese e dedito più ai propri interessi che a quelli del Paese, ci spiegavano quanto fossimo fortunati ad avere un 84enne alla presidenza della Corte Costituzionale. Poco prima, a settembre 2021, un altro pezzo dello stesso corpaccione, Confindustria, tributò analoga ovazione a Mario Draghi: 75 anni. Pochi giorni fa, una soddisfatta Mariastella Gelmini annunciò il ddl sulla autonomia differenziata.

È ancora il corpo dirigente del Nord, affine a Letta, al Pd Nord e alla Lega, a spingere senza rendersi conto che, per come è stata impostata, si tratta di una secessione di fatto. Si parla di residuo fiscale senza comprendere il significato della concettualizzazione del Nobel James Buchanan, che spiega i presupposti della ineluttabilità di questo residuo in una unica comunità politica ed economica. Analoghi i principi base di ogni costituzione e la incostituzionalità del ddl, frutto di un miope istinto predatorio su base localistica, è palese anche agli studenti del primo anno. Che sia chiaro: per il Sud meglio la secessione di questo ddl. Tutto ciò, insieme a un uso spregiudicato delle massime istituzioni che dovrebbero garantire il rispetto della volontà popolare, porta alle odierne secche. Da un punto di vista umano, mi fa specie che dopo una certa età ci si senta indispensabili invece di prepararsi all’esito finale della propria esistenza e lasciare il passo a chi ha prospettive di più durature.

Si tratta di sensibilità personali. Ma che un intero Paese si metta con cieca fiducia nelle mani di ottantenni sfidando le leggi della natura, prima ancora che della Costituzione, mi lascia sgomento. Ancora di più, visto il curriculum, affidarsi a Draghi. A partire dall’acquisto dei derivati di Morgan Stanley, che pesano ancora oggi sui conti pubblici per miliardi, alle privatizzazioni selvagge, come Autostrade e Telecom. Poi l’autorizzazione all’acquisto di Antonveneta data a Montepaschi come governatore di Bankitalia. Il capolavoro della lettera con i compitini assegnati al governo Berlusconi e attuate da Monti e che, secondo quanto contenuto nel Pnrr del governo Gentiloni, ci è costata 300 miliardi di euro di Pil solo dal 2012 al 2015. Per carità di patria non parlo della Grecia e dell’uso che fece della Bce. Oggi, da sostituto di Conte, appoggia un piano di sanzioni che sembra fatto più per penalizzare l’Italia che la Russia con la richiesta di tetto al prezzo del gas snobbata da tutti: non bisogna essere esperti in materia per capire quanto sia ridicola.

Sta provocando il fallimento di imprese edilizie che hanno l’unica colpa di aver creduto nello Stato, che in 6 mesi ha varato 16 norme diverse, e poi le gaffe come “Erdogan dittatore”. Daje e daje lo spread va alle stelle, oltre 200. Credo che la buona immagine di Draghi derivi solo dalla narrazione omissiva fatta dai media dei salotti buoni e dal loro braccio politico: il Pd. Nessuna democrazia liberale può reggere a lungo a tutto questo.

Dulcis in fundo la vicenda Draghi-Grillo che sembra, giorno dopo giorno, tratteggiare i contorni di un golpe bianco. Ogni segretario politico, con un minimo di dignità, dovrebbe chiedere fosse chiarita. Nella conferenza stampa di Draghi sui fatti, quello che emerge tra lui e Grillo, invece della regia golpista, è solo lo spettegolare malevolo tra vecchie e allegre comari. Sarà perché Conte lasciò lo spread a 90?

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