“Femmine e vecchie, ecco quello che siete – Care nate negli anni Cinquanta e Sessanta, uso il femminile prevalente perché, prevalentemente, siete donne anche quando siete uomini, anzi più che femmine siete femministe, quindi non avete che colpe culturali (come tutti), in quanto tali emendabili, che tuttavia non emenderete. Siete femministe perché siete colonizzatrici, proterve, pigre, matronali, inquinanti, passivo-aggressive, vampiresche, cameratesche, infantili, scaricabarile, grevi, grette, talvolta violente. Siete femministe perché siete dappertutto, sempre in maggioranza assoluta, e quando non lo siete vi si deve ringraziare, ci si deve stupire, lo si deve evidenziare: vi siete distinte dagli altri, avete pur fatto qualcosa. (…)”.

Ho fatto un’esercitazione: ho messo al femminile l’estratto pubblicato da La Stampa per lanciare un articolo apparso ieri a firma di Simonetta Sciandivasci, intitolato “Maschi e vecchi, questo siete”. Come suona così? Qualche signora appena più adulta di me ha avuto un sussulto? Io, leggendo l’originale al maschile, sì.

Non commenterò l’articolo nella sua interezza, sarebbe troppo lungo farlo, e scarsamente interessante. L’abile comunicazione del giornale torinese ne ha sintetizzato la parte saliente. Il corpo dell’articolo è un elenco di stereotipi su presunti anziani incapaci, scimmieschi, corporativi. Stereotipo (ricordo) non è citare cose false, ma farle assurgere a definizione universale. Cioè massificare tramite una sineddoche.

Mi limito a osservare che il Covid ha liberato più rabbia che ragionamento, più i toni forti e offensivi che la voglia di articolare discorsi autenticamente e chirurgicamente incisivi. E che con questa cultura dell’aggressione verbale (ma come si vede nei recenti fatti di violenza fisica tra ragazze adolescenti, non solo…) temo non andremo molto lontano. Quando chi ha subìto odiosa discriminazione reagisce odiando tutti indiscriminatamente, vuol dire che deve ancora elaborare, e il modo in cui lo sta facendo è certamente sbagliato. Così come lamentarsi “di non aver ricevuto” qualcosa dai predecessori (potere, posti, riconoscimenti): da che mondo è mondo le cose si prendono, non si ricevono in dote, e solo chi non sa conquistare ciò che è suo piagnucola.

Io sono del ’65, secondo le fonti non rientro nei Boomers per un’incollatura, e della generazione precedente alla mia non ho alcuna opinione positiva. Anzi. Ne ho scritto a lungo e duramente in molti libri. Ma sono preoccupato anche per quella attuale. Soprattutto femminile. Mi pare che l’interpretazione del disagio sociale di genere, da MeToo in avanti, sia tutta sbagliata. Dovremmo parlare delle cause (tutte culturali, di modello ideologico, economico, valoriale) mentre vedo che ci si impegna molto (e ci si soddisfa solo) a rifiutare, a stigmatizzare in toto, a distanziarci, e dirla più grossa della precedente. Così il divario si allarga, fino a che diventerà (se non lo è già) insanabile. Un comunicatore come la Sciandivasci dovrebbe sapere che per vendere qualche copia in più, se si ha a cuore la società, non bisogna fare tutt’erba tra Sansone e tutti i Filistei.

Oggi la corsa degli intellettuali è tutta orientata a parlare male degli uomini in sostegno alle donne. Funziona così nel mondo snob, a ondate. Prova ne sia che un pezzo come quello della giovane giornalista lucana può consentirsi di mirare all’intero gruppo dei maschi italiani nati tra ’46 e ’64, milioni di persone, definendoli colonizzatori, protervi, pigri, patronali, inquinanti, passivo-aggressivi, vampireschi, camerateschi, infantili, scaricabarile, grevi, gretti, talvolta violenti, senza che nessuno si indigni. Una indignazione non certo per le offese, ma per il basso livello intellettuale, da rissa nei vicoli, a cui siamo arrivati. Così si fa una sassaiola, non si dialoga.

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