La legge della domanda e dell’offerta è uno dei capisaldi su cui è stata costruita l’architettura dell’economia a livello mondiale. Ma sin dagli anni ’70 un gruppo di economisti ha iniziato ad indagare i rischi delle cosiddette asimmetrie informative, ricevendo il premio Nobel nel 2001, per l’analisi dei fenomeni che possono produrre fallimenti del mercato. In parole povere se alcuni attori di un sistema hanno informazioni non disponibili a tutti, possono mettere in atto azioni che spingono in errore acquirenti e venditori di una qualsiasi merce o servizio. Il fenomeno è ovviamente esploso al crescere delle dimensioni del mercato finanziario sino a produrre una serie di gravissime manipolazioni.
Tutto è iniziato a partire dalla metà degli anni Novanta, come ha ricostruito con molti dettagli nel 2003 l’ex trader di Morgan Stanley Frank Portnoy, diventato docente di diritto societario alla Berkeley University, in un libro dal titolo emblematico Infectious Greed: How Deceit and Risk Corrupted the Financial Markets (Avidità contagiosa: come l’inganno e il rischio hanno corrotto i mercati finanziari). L’avvento di sistemi computerizzati sempre più performanti e lo sviluppo di Internet hanno contribuito alla costruzione di un sistema sempre più complesso di prodotti finanziari che si basano sulle opzioni, prodotti che dovrebbero proteggere un operatore di mercato dalle perdite causate da movimenti eccessivi dei valori di qualsiasi sottostante (valute, materie prime, tassi di interesse ecc).
Alcuni clamorosi crac hanno fatto emergere il rischio che i derivati possano avere un rilevante impatto manipolatorio sui prezzi reali soprattutto nel comparto dell’energia, che rimane in larga parte un sistema basato sul monopolio naturale. Il primo grande episodio è stato quello del fallimento di Enron, la compagnia texana nata per sfruttare le opportunità offerte dall’inizio della deregulation nell’energia elettrica e nel gas che, di fatto, diede vita al primo grande mercato dei future sul comparto. Tutta la vicenda dell’azienda creata nel 1985 da Kenneth Lay e guidata dal 1990 dall’ex McKinsey Jeff Skilling è riconducibile allo sviluppo contemporaneo della deregulation del mercato energetico e del sistema finanziario: il crac nel 2001 all’epoca venne annoverato come il più grande della storia statunitense (oltre 30 miliardi di dollari) e produsse una prima commissione d’inchiesta del Congresso che ha ricostruito minuziosamente le conseguenze della doppia distorsione.
Durante gli anni della presidenza Reagan Kenneth Lay era diventato uno dei testimonial della deregolamentazione del mercato energetico e uno degli esponenti del sistema economico con più influenza su Washington. Aveva relazioni con politici democratici e repubblicani ed era amico intimo della famiglia Bush. Nel 1992 fu a capo del comitato per la rielezione alla presidenza di George H. W. Bush e quando il figlio George W. corse per la Casa Bianca nel 2000, la Enron fu tra i suoi principali finanziatori e gli mise anche a disposizione un jet aziendale. Bush non faceva mistero della sua relazione con Lay che chiamava “Kenny boy”. Nel 2003, dopo il crollo della Enron, un’inchiesta del dipartimento dell’energia e successivamente il processo ai dirigenti del colosso del trading texano evidenziarono che i drammatici problemi vissuti durante il biennio 2000-2001 non erano riconducibili a reali gap di produzione, ma alle iniziative spericolate dei principali gestori privati. Paradossalmente i blackout del 2001 non sono stati causati da una carenza reale di energia (all’epoca le riserve erano pari al 30% del fabbisogno) ma da strozzature artificiali dell’offerta.
Dopo due anni di abbondante produzione e prezzi bassi (in media 26 dollari nel 1998 e 28 nel 1999), i livelli di generazione in California calarono e la manciata di produttori esistenti si accorse di avere sufficiente potere per manipolare il mercato. Quando i prezzi all’ingrosso salirono a 110 dollari al megawatt/ora nel 2000, decisero di non vendere tutte le forniture a disposizione per far lievitare i prezzi; l’intervento di società di trading come la Enron contribuì a esacerbare l’escalation dei prezzi a punte di 750 dollari nell’inverno 2001. Le compagnie elettriche, costrette a far pagare non più di 60 dollari, divennero insolventi, non riuscirono più a comprare energia sul mercato e determinarono i pesantissimi blackout nello Stato più grande d’America.
Un episodio simile a quello della Enron, forse ancora più preoccupante, è quello denunciato dal Senato Usa sulla vicenda Amaranth, un hedge fund fallito nel 2006 per l’eccessiva esposizione speculativa sul gas. Le radici del crollo sono riassunte facilmente: il fondo, nonostante si definisse un hedge “multi-strategy”, con molteplici strategie d ’investimento, aveva ormai oltre metà della propria esposizione concentrata sui contratti future. Agli inizi di settembre del 2006 è arrivato il tracollo: aveva scommesso su rincari del cosiddetto “winter gas”, i prezzi del gas in mesi ancora lontani nel futuro e, in particolare, su incrementi nella differenza tra le quotazioni dei successivi mesi di marzo e aprile. È accaduto l’opposto. Una perdita di 560 milioni di dollari in un solo giorno è rapidamente diventata una valanga
Ma la saga di Amaranth ha gettato anche nuova luce sull’intero universo segreto degli hedge fund e sui rischi che coltiva. Amaranth aprì i battenti nel 2000 con 27 dipendenti e 450 milioni di dollari: in sei anni era diventato uno degli hedge forse meno conosciuti ma di maggiori dimensioni e prestigio, con quasi dieci miliardi di dollari in gestione. Ma era anche uno dei più aggressivi, avendo cambiato volto da strategie molto disciplinate sui bond convertibili, un mercato ormai appannatosi, alla più redditizia e imprevedibile partita del gas naturale. È stata tra le prime finanziarie a puntare senza remore sull’energia dopo il crac della Enron e nel 2005, grazie alle scommesse azzeccate con l’uragano Katrina, ha realizzato guadagni per un miliardo di dollari.
L’inchiesta condotta da una commissione bipartisan del Senato Usa, molto approfondita e voluminosa, ha portato alla luce una situazione a dir poco preoccupante: il fondo oltre ad aver bruciato i risparmi dei suoi investitori, aveva finito per condizionare in modo rilevantissimo il prezzo del gas di tutti gli Stati Uniti. Il focus dell’investigazione si è concentrato sul mercato over the counter, dove gli operatori trattano liberamente e privatamente la compravendita di opzioni e altri contratti finanziari sulle materie prime. Gli esperti hanno evidenziato che il 75% dei contratti negli Stati Uniti vengono trattati su questo mercato OTC al di fuori delle regole stabilite dalla Commodity Futures Trading Commission. Il senatore democratico Carl Levin ha sottolineato che le leggi sono state sistematicamente “aggirate con esenzioni, esclusioni e limitazioni che rendono virtualmente impossibile per i regolatori controllare il mercato dell’energia statunitense”.
Il rapporto ha evidenziato come Amaranth abbia costituito posizioni eccessive nel segmento dei contratti future sul gas naturale al NYMEX (New York Mercantile Exchange) e all’Intercontinental Exchange (ICE) sul mercato Over the counter tali da permettergli di manipolare in modo speculativo contratti e prezzi. Il fondo da solo trattava 100.000 contratti futures al mese, pari al 5% del gas naturale utilizzato in tutti gli Stati Uniti in un anno intero. Secondo i parametri dei regolatori un operatore era considerato di grandi dimensioni quando superava i 200 contratti. Con questa esposizione i gestori del fondo erano in grado di realizzare guadagni dell’ordine di 10 milioni di dollari al giorno, se la scommessa era azzeccata. Grazie anche a complesse analisi matematiche i commissari del Senato sono riusciti a evidenziare che in corrispondenza con le scadenze dei contratti future, in genere negli ultimi giorni del mese, si registravano incrementi del costo del gas naturale di oltre un dollaro su base, all’epoca, di 14 dollari.
Storie e indagini che evidenziano quanto il ruolo dei future, come quelli sul gas al Ttf di Amsterdam regolati da ICE Endex, possono produrre distorsioni. Purtroppo il Ttf non ha regole per fissare un prezzo massimo e non esisterebbe la possibilità di sospendere le negoziazioni per eccesso di rialzo. Il limite di posizione mensile è fissato al 25% dei volumi che possono essere consegnati, pari a quasi 55 milioni di Mwh su un totale disponibile di circa 219 milioni. Misure sicuramente insufficienti in una fase come quella attuale di turbolenze senza controllo.