Il regista è andato a godersi lo spettacolo del Loud Kids Tour al Circo Massimo: "This is Måneskin. Il resto lo avete già capito. Se non l’avete ancora capito, lo capirete. Vent’anni e tutta la vita da prendere a morsi. Torni a casa ripensando ai tuoi, di vent’anni. E a quanto questi quattro ragazzi siano bravi, puri, speciali, senza pelle e le spalle già così forti. Grande spettacolo, grandi loro". Ora, nel post Muccino parla di performance più che di canzoni. È una fotografia generazionale. Ma qualcuno...
“Immenso era Morrison, Jim. Abbiamo la memoria corta“. “Se penso ai miei vent’anni, penso ai poster dei Beatles e dei Led Zeppelin… E naturalmente penso che oggi, ti danno qualcosa di analcolico e la chiamano birra“. “Voglio vedere se tra 40 anni ancora ci saranno“. “Monnezza musicale“. Così alcuni commentatori sotto a un post di Gabriele Muccino. Il regista è andato a godersi lo spettacolo del Loud Kids Tour al Circo Massimo: “This is Måneskin. Il resto lo avete già capito. Se non l’avete ancora capito, lo capirete. Vent’anni e tutta la vita da prendere a morsi. Torni a casa ripensando ai tuoi, di vent’anni. E a quanto questi quattro ragazzi siano bravi, puri, speciali, senza pelle e le spalle già così forti. Grande spettacolo, grandi loro”, ha scritto su Instagram. Ora, Muccino parla di performance più che di canzoni. È una fotografia generazionale. Ma qualcuno ha sentito il bisogno di ribadire che no, i Maneskin non sono i Beatles e non sono i Led Zeppelin. Pazzesco eh? C’è da restarci secchi. Sono considerazioni che ti lasciano smarrito, spaesato, senza punti di riferimento. Che ne dite, proviamo ad addentrarci nell’ignoto cambiando arte? Joer Dicker non è Dostoevskij. Brrr, che affermazione da brividi, pelle d’oca. Il primo ha ben scritto un piacevole romanzo di grandissimo successo commerciale, un tomo di diverse pagine. Il secondo ha scritto diversi tomi da migliaia di pagine ed è uno dei padri della letteratura. Il primo è vivo e semmai leggesse questo pezzo, farebbe forse un gesto scaramantico. Il secondo si starà trastullando in qualche anfratto del paradiso. È grazie alla preziosa materia che i grandi della lettertura hanno lasciato in eredità a tutti che alcuni di noi, quelli con un certo talento, da lettori si trasformano in scrittori. Da una parte, i classici. Imbattibili, insuperabili, per loro stessa natura fondamentali. In Perché leggere i classici, Italo Calvino spiega un mucchio di cose e sfogliare per la millesima volta questo libro fa venire voglia di scrivere un trattatello: “Sull’inutilità del paragone Maneskin-Beatles-Led Zeppelin…”. Ci divertiamo invece a trasformare (ci perdoni, Calvino) un pezzettino di Perché leggere i classici – si tratta di passaggio di un’intervista rilasciata dallo scrittore all’Europeo nel 1980- parlando di musica e non di letteratura. Amo soprattutto i Beatles, perché solo in loro spirito senza tempo e slancio della vita sono una cosa sola, perché sono limpidezza, ironia e serietà. Perché “hanno le canzoni”. Amo i Led Zeppelin perché danno pienezza al rock. Amo Elvis, perché dopo di lui non si può più pensare di fare come lui. Amo i Pink Floyd perché alle volte mi pare di essere lì lì per capire come fanno e invece niente. Amo i Queen, perché non li ascolto quasi mai ma sono contenta che ci siamo. Amo i Metallica, furore senza misura ma con melodia. Amo i Blur e gli Oasis, perché i vent’anni non tornano più… Amo le canzoni, su tutto e prima di tutto. Possiamo mettere nella lista i Maneskin? No. Per dirlo come lo ha detto Linus qualche giorno fa: “Per ora il loro repertorio è fatto di alcune buone canzoni ma non hanno ancora dimostrato di sapere comporre un brano all’altezza della loro popolarità. Certo, sono ancora giovani, hanno tempo per crescere, a livello tecnico sono bravi e la loro presenza scenica è strepitosa, ma per durare nel tempo devi avere anche qualcosa di importante da dire”. Right. Vediamo che succederà. Nel frattempo, i quattro portano sui palcoscenici di tutto il mondo un riverbero di quei grandi classici che sono le fondamenta della vita stessa. Lo portano alle nuove generazioni. A chi soffre un poco di nostalgia senza passatismo. A chi ama la musica live. “Abbiamo che ce rode tanto quando abbiamo davanti il talento di altri per noi inarrivabile. Diamogli un nome”, ha risposto Muccino agli haters. Forse è quello, a scatenare i detrattori. Resta l’impossibilità del paragone. Godiamoci il successo di questa band, la loro ‘figaggine’, il fatto che abbiano fatto uno spettacolo gargantuesco nella loro città. Crediamo nel potere delle storie.