Da una parte il Movimento 5 stelle che non ha votato il decreto Aiuti alla Camera e che giovedì potrebbe replicare la stessa decisione al Senato. Dall’altra la Lega che fa ostruzionismo in Parlamento per ritardare l’arrivo in aula delle leggi sulla cannabis e sullo Ius scholae. Sulla sfondo c’è la richiesta di una “verifica di maggioranza” di Silvio Berlusconi, rilanciata anche da Matteo Renzi e dalla stessa Lega. All’interno del governo di Mario Draghi la tensione non è mai stata così alta. Ecco perché non desta particolare scalpore la decisione del premier di salire sul Colle più alto di Roma per conferire col capo dello Stato.

Il colloquio tra il presidente del Consiglio e Sergio Mattarella è durato circa 40 minuti e secondo le agenzie di stampa è servito per passare “in rassegna i temi di politica internazionale e nazionale”. In realtà è assai probabile che il colloquio sia stato dedicato alla tenuta della maggioranza. Dopo le frizioni dei giorni scorsi, culminate con l’incontro con Giuseppe Conte, oggi i 5 stelle hanno deciso di uscire dall’aula della Camera, non votando il decreto Aiuti. Un segnale preciso visto che giovedì lo stesso provvedimento è atteso al Senato. Se da Draghi non dovesse arrivare alcun segnale di apertura sui 9 punti messi sul tavolo da Conte nei giorni scorsi, è probabile che i 5 stelle decidano di defilarsi. E a quel punto è lecito aspettarsi un segnale anche dalla Lega. Da tempo il partito di Matteo Salvini vive con sofferenza i tentativi del M5s di allontanarsi dall’orbita Draghi. È noto, infatti, come una parte del Carroccio soffra il “mal di governo”: non stare all’opposizione del governo Draghi continua a far perdere consensi, tutti a favore di Fratelli d’Italia. E infatti proprio nel giorno in cui i 5 stelle non hanno votato il decreto Aiuti, i leghisti hanno lanciato un’azione di ostruzionismo alla Camera. Una strategia che punta a ritardare l’arrivo in aula delle norme sulla cannabis e sullo Ius scholae, notoriamente invise alla destra.

In più il Carroccio ha raccolto l’assist servito da Berlusconi, che ha chiesto a Draghi di fare una verifica in maggioranza. “Bene la richiesta di chiarimento sull’attività del governo, a cui aggiungiamo la necessità di stoppare le leggi su droga libera e cittadinanza facile. Non è questo che si aspettano gli italiani da questa maggioranza!”, fanno sapere fonti del Carroccio. Pure Matteo Renzi coglie la palla alzata da Forza Italia e si unisce al coro di chi vuole una verifica di maggioranza: “Se il Movimento Cinquestelle se ne va, a maggior ragione è un tema da affrontare tuti insieme con il presidente del consiglio”. Dichiarazioni che sembrano volere aprire la strada a un Draghi bis. In serata gli azzurri hanno rinvigorito il loro protagonismo di queste ore con un “vertice d’urgenza” al quale hanno partecipato lo stesso Berlusconi, il vice Antonio Tajani e i capigruppo Paolo Barelli e Annamaria Bernini.

Il pallino, in questa situazione, sembra in mano soprattutto a Draghi. Da una parte è lui che è atteso a una mossa (e forse a più di una) per mandare un segnale ai 5 Stelle. Un primo importante passaggio è indicato nell’incontro tra governo e sindacati in programma a Palazzo Chigi: è inevitabile che parte del contenuto della lettera di Conte al presidente del Consiglio (che conteneva diverse questioni sociali e del lavoro) finisca sul tavolo del confronto tra il premier e i leader di Cgil, Cisl e Uil, il primo dopo vari mesi. Dall’altra parte è comunque Draghi che dovrà valutare se giovedì un eventuale mancato contributo del M5s al voto di fiducia sarà da considerare un problema: non c’è dubbio che l’esecutivo otterrà la fiducia del Senato, ma bisognerà capire se davvero il governo “non esiste senza il M5s”, per ricordare le stesse parole usate dal capo del governo nei giorni di tensione con il suo predecessore. Una posizione smentita dai numeri: anche senza i parlamentari del M5s la maggioranza attuale reggerebbe. Ecco perché Matteo Renzi insiste su questo punto: “È chiaro che se non c’è più il M5s, per me si può andare avanti anche senza; bisogna però vedere se ci sono la volontà e i numeri e su che cosa. Qui c’è da non perdere i soldi europei, il Pnrr, c’è da fare la legge di bilancio, poi forse qualcuno vuole fare la legge elettorale”. E’ un lavoro giorno per giorno, ma intanto un altro ne è passato, nel silenzio di Palazzo Chigi, e il voto di giovedì è lontano 48 ore.

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