La conferenza stampa del premier è servita per mandare messaggi al Movimento in agitazione, ma sarà sufficiente l'annuncio di provvedimenti di cui - come dice Landini - non si conoscono misure né importi per mantenere i 5 Stelle in maggioranza? Conte mantiene il silenzio, convoca il consiglio nazionale e all'orizzonte si profila il voto di fiducia sul decreto Aiuti
Il presidente del Consiglio Mario Draghi riparte da dove aveva interrotto il discorso con i 5 Stelle: “Ho già detto che per me non c’è un governo senza M5s e non c’è un governo Draghi altro che l’attuale”. E la conferenza stampa dopo l’incontro del governo con i sindacati sembra una catena di segnali da mandare come ricevuta di ritorno in risposta alla lettera con i 9 punti che gli ha consegnato Giuseppe Conte ormai una settimana fa. Il capo del governo – dopo aver incontrato i sindacati a Palazzo Chigi – rilancia un “patto sociale”, annuncia provvedimenti urgenti sul caro energia entro la fine del mese e altri più strutturali nella legge di bilancio. “L’economia e la giustizia sociale hanno bisogno che si facciano” dice. E il governo “intende muoversi nella direzione” del salario minimo. Sono tutti messaggi che sembrano diretti al M5s, a spuntare qualche casella del documento consegnato dal suo predecessore. Ma il punto con la stampa lascia la stessa sensazione che ha avuto il segretario della Cgil Maurizio Landini all’uscita di Palazzo Chigi, alla fine della riunione con mezzo governo: non ci sono le misure né gli importi, dice il leader del sindacato. Resta una serie di annunci di cui non si conoscono i particolari né l’impegno economico né le tempistiche. “Non abbiamo tempo di aspettare misure che entrerebbero in vigore a gennaio” sottolinea Landini.
E quindi forse la fa un po’ troppo facile il sottosegretario Carlo Sibilia, al secondo mandato e al terzo governo: “Da giorni ci definiscono irresponsabili perché chiediamo con forza il salario minimo. Oggi Draghi annuncia un provvedimento sul salario minimo”. E’ l’unico esponente del Movimento a parlare dopo la conferenza di Draghi, in un silenzio tombale che parte dai vertici e comprende anche l’ex ministra del Lavoro Nunzia Catalfo, la prima firmataria e “storica” portabandiera della legge sul salario minimo in Parlamento. Per il presidente del Consiglio quanto esposto in conferenza stampa potrebbe già essere sufficiente: “Era un intervento era assolutamente importante e necessario e, se coincide con l’agenda di Conte, sono contento e forse anche lui…”. Per scoprire se Conte è “contento”, bisognerà aspettare domani, mercoledì, quando l’ex premier riunirà di mattina presto il consiglio nazionale del M5s.
Non sarà un vertice interlocutorio né formale, tutt’altro. Perché se la prima delle tappe di Draghi per tentare di trattenere il M5s dentro la maggioranza era l’agognato incontro tra governo e sindacati (le cui aspettative ottimistiche sembrano congelate fino al prossimo incontro fissato tra due settimane), il secondo passaggio stretto della settimana è il voto di fiducia al Senato sul decreto Aiuti. E il consiglio nazionale del M5s dibatterà su come comportarsi al momento della votazione: astensione, uscita dall’Aula? È il bivio più complicato per la leadership dell’ex presidente del Consiglio, perché bisogna decidere tra la “responsabilità” che però è poco compresa dall’elettorato e ormai anche da un pezzo dei suoi gruppi parlamentari. Se questo è tutto ciò che Draghi ha da “offrire” come reazione alla lettera dei 9 punti, qual è la strada eventuale per giustificare la permanenza in questa maggioranza? Di certo l’illustrazione della legge sul salario minimo non aiuta, e siamo agli eufemismi.
Con il salario minimo all’italiana i salari restano da fame – La proposta del ministro del lavoro Andrea Orlando sull’introduzione di una soglia minima per gli stipendi è più un esercizio di equilibrismo che una riforma. Una paga oraria minimo è stata fissata in quasi tutti i paesi europei. Bruxelles la auspica ma non esclude la possibilità di privilegiare la contrattazione collettiva. È la strada scelta dall’Italia, dove anche i sindacati si oppongono ad un limite fissato per legge perché finirebbe per sminuire il loro ruolo. Il governo, evidentemente, non ha né la volontà né la forza, per superare questa impostazione. E così quella che propone è una soluzione barocca che finirà per cambiare poco o nulla e non eliminerà le retribuzioni più scandalosamente basse. Il sistema sarebbe infatti quello di andare a vedere, settore per settore, qual è il contratto collettivo più diffuso e rappresentativo ed estenderne i minimi retributivi a tutti lavoratori della categoria. Le tempistiche sono incerte, dipendono anche dalla strada che sceglierà il governo.
Il problema principale è che per diverse mansioni i contratti collettivi sottoscritti dai sindacati prevedono minimi davvero miseri. Dunque ben lontani dai quei 9 euro lordi l’ora che erano stati ipotizzati, erga omnes, nel disegno di legge Catalfo come soglia minima, a prescindere da quanto previsto nei vari contratti. In Italia sono registrati oltre 900 contratti nazionali di lavoro e in alcuni casi le retribuzioni non arrivano a 5 euro l’ora, a testimonianza che non sempre la solo contrattazione sindacale riesce a garantire paghe dignitose. Il Ccnl multiservizi fissa ad esempio una soglia di 7,3 euro per le persone che svolgono le pulizie mentre per gli addetti alla vigilanza non si va oltre i 6,4 euro. Nel commercio e nella logistica si sale a 8,2 e 8,3 euro lordi l’ora ma si resta comunque sotto i 9. La scorsa settimana l’Istat ha ricordato come siano 1,3 milioni i dipendenti del settore privato con retribuzioni al di sotto di 8,4 euro lordi l’ora e ben 4 milioni quelli che non superano la soglia dei 9 euro. In Europa 21 paesi contemplano un salario minimo individuato per legge. Solo 6 non lo prevedono. Uno è l’Italia, gli altri sono Cipro e poi Danimarca, Svezia, Finlandia e Austria. Questi quattro paesi in cui gli stipendi sono molto più alti rispetto al nostro paese.