Nelle ultime ore sta facendo discutere un recente bando per l’assunzione di oltre mille agenti nelle forze di Polizia. Nel documento, tra i classici requisiti per l’ammissione, figura l’elenco dei disturbi mentali che impedirebbero l’accesso ai candidati, in cui si legge “disturbi dell’identità di genere“, affiancati a schizofrenia, disturbi dissociativi, tic, ecc. Quel che salta all’occhio immediatamente è la dicitura “attuali o pregressi” accanto a ogni voce, poiché in alcuni casi sembra eccessivamente severa: ad esempio, chi ha sofferto di disturbi della condotta alimentare in età adolescenziale non può entrare in Polizia vent’anni dopo? I requisiti di idoneità psicofisica sono da sempre molto restrittivi, ma qui sembra trattarsi di visioni un po’ antiquate e patologizzanti che sfociano in un linguaggio scorretto.
Tant’è che anche la disforia di genere è finita nel calderone dei disturbi mentali, pur non essendo più considerata tale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità dal 2018 (a seguito di numerose prese di posizione internazionali precedenti). La decisione dell’Oms è arrivata proprio con l’obiettivo di restituire dignità alle persone transgender e non binarie, troppo spesso considerate malate o incapaci di svolgere qualsivoglia attività lavorativa. Possibile, quindi, che in un concorso bandito dal ministero dell’Interno si abbia così poca considerazione dei percorsi legati al genere?
Per di più, anche in questo caso, vale la regola del disturbo pregresso: nemmeno chi ha già affrontato il percorso di transizione e cambiato i propri documenti può prendere in considerazione il bando di concorso. Eppure, già dall’82 è possibile in Italia accedere alla cosiddetta “rettificazione del sesso” e grazie ad alcune sentenze della Corte di Cassazione e poi Costituzionale del 2015 è diventato possibile autorizzare il cambio di genere sui documenti anche senza la procedura chirurgica, presentando tutta la documentazione e le certificazioni richieste. Alla fine di questi percorsi, il genere d’elezione (cioè quello scelto dalla persona in transizione) è quello che troveremo sul documento d’identità con tanto di timbro della Repubblica Italiana. Perciò sulla base di che cosa si può escludere parte della cittadinanza dall’accesso a un concorso?
In contesti di questo tipo si fa ancora più fatica a trovare uno spazio per chi invece si tira fuori dal binarismo di genere, perché a livello legale non c’è nessuna tutela, nessun riconoscimento per le soggettività non binarie. Come tutti gli ambienti che ancora si reggono su un concetto tradizionale di mascolinità, anche nelle forze di Polizia si fa estremamente fatica a discutere – seriamente – di temi Lgbtq+. Non bastano i fiocchetti arcobaleno o le spillette dedicate al pride che in molti Paesi e città sono state indossate durante le manifestazioni del mese scorso.
Spero proprio che il bando venga rettificato e che la ministra Luciana Lamorgese approfitti per chiarire la posizione del ministero su quanto accaduto… si sa che l’inclusione non parte dai piani alti, ma sia mai che possa dare una spintarella ogni tanto.