Le reazioni alla sentenza del Tribunale di Caltanissetta, che ha fatto cadere l’aggravante mafiosa nei confronti di Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, i tre ex poliziotti del pool stragi comandato dal prefetto Arnaldo da Barbera, imputati di calunnia per aver indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino a mettere a verbale bugie e ad accusare ingiustamente degli innocenti, che poi furono condannati all’ergastolo per la strage
“Sono amareggiato. Da noi accadono gli eventi, ci sono situazioni comprovate, ma poi alla fine non paga mai nessuno“. Parola di Antonio Vullo, l’unico agente sopravvissuto alla strage di via D’Amelio, in cui persero la vita il giudice Paolo Borsellino e i cinque colleghi della scorta. Il poliziotto, oggi in pensione, si riferisce alla sentenza emessa martedì dal tribunale di Caltanissetta sul depistaggio delle prime indagini sulla strage Borsellino. Al termine del processo di primo grado, infatti, il Tribunale di Caltanissetta ha fatto cadere l’aggravante mafiosa nei confronti di Mario Bo, Michele Ribaudo e Fabrizio Mattei, i tre ex poliziotti del pool stragi comandato dal prefetto Arnaldo da Barbera, imputati di calunnia per aver indotto il falso pentito Vincenzo Scarantino a mettere a verbale bugie e ad accusare ingiustamente degli innocenti, che poi furono condannati all’ergastolo per la strage. Come risultato, i reati contestati a Bo e Mattei sono stati dichiarati prescritti, mentre Ribaudo è stato assolto “perché il fatto non costituisce reato”. Bocciata, dunque, la tesi della procura di Caltanissetta, che parlava di “un depistaggio gigantesco” e “inaudito” che “ha coperto alleanze mafiose di alto livello” e aveva chiesto condanne a pene altissime. “Ci aspettavamo un simile esito. Nell’aria si intravedeva qualcosa del genere”, commenta oggi Vullo, che i 19 luglio non sarà alla manifestazioni di ricordo della strage, esattamente come hanno annunciato i figli di Paolo Borsellino. “Ho perso un pò di fiducia e non mi ritrovo più in certi ambienti”, dice l’agende sopravvissuto. La testimonianza di Vullo è contenuta in Mattanza, il podcast del Fatto Quotidiano sulle stragi. Il poliziotto era alla guida della prima vettura di staffetta, che precedeva quella in cui viaggiava il magistrato ucciso dal tritolo di Cosa nostra. Vullo si salva dalla strage perché al momento dell’esplosione è all’interno dell’auto e non in strada come Borsellino e i colleghi.
Salvatore Borsellino: “Verità e giustizia lontane” – Oltre al racconto di Vullo, Mattanza ricostruisce anche tutti i passaggi del depistaggio al centro del processo che si è concluso ieri. La cui sentenza ha scatenato diverse polemiche. “Non è la prima volta che in corrispondenza dell’anniversario della strage di via D’Amelio arrivano colpi di questo tipo. Un colpo durissimo per noi che ancora, a 30 anni di distanza dalla strage, cerchiamo verità e giustizia ancora molto lontane. Quando nei processi sono imputati funzionari dello Stato la fine è sempre la stessa: o il fatto non costituisce reato, come è accaduto nel processo d’appello sulla Trattativa, oppure si arriva alla prescrizione. Ma è un esito che in qualche modo mi aspettavo”, dice Salvatore Borsellino. “Dopo 30 anni c’è ben poco da dire. Provo solo sdegno. Tra qualche anno beatificheranno Arnaldo La Barbera…”, commenta invece Luciano Traina, fratello di Claudio, l’agente di scorta morto insieme ai colleghi poliziotti Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Eddie Walter Cosina e Agostino Catalano. “Lo Stato non c’è – continua Traina -. La trattativa continua, c’è un depistaggio che ci fa molto male, a noi familiari delle vittime, a quelli del dottor Borsellino e penso a tutte le persone oneste. Ho una profonda rabbia. Sono molto molto deluso – prosegue -. Trent’anni buttati. Scarantino? Un ladro di polli lo conoscevamo tutti. Di cosa parliamo?”. “Premesso che tutte le sentenze vanno rispettate e che, soprattutto in casi così complessi, è fondamentale leggere le motivazioni, come sorella di Giovanni Falcone e come cittadina italiana, provo una forte amarezza perché ancora una volta ci è stata negata la verità piena su uno dei fatti più inquietanti della storia della Repubblica”, dice Maria Falcone, sorella del giudice ucciso nella strage di a Capaci. “Dal dispositivo che asserisce l’esistenza del depistaggio e la responsabilità di due dei tre imputati, emerge comunque la conferma dell’impianto della Procura di Caltanissetta che, con un lavoro coraggioso e scrupoloso, ha fatto luce su anni di trame e inquinamenti investigativi”, continua Maria Falcone.
Ecco quali sono i punti rimasti oscuri nella strage – Secondo l’avvocato Fabio Trizzino, marito di Lucia Borsellino e legale di parte civile della famiglia Borsellino, la “sentenza interpella, a mio giudizio, la collettività e l’opinone pubblica. Io mi rendo conto che questo è un paese anestetizzato che dedica più spazio alla separazione di Totti piuttosto che al depistaggio di via D’Amelio, però la collettività deve essere informata e deve cominciare a pretendere comportanti diversi e soprattutto la verità”. Secondo Trizzino non ci sarà alcuna verità processuale: “Ma una verità storica che non ha più i vincoli e condizionamenti delle regole del processo, che vanno sempre rispettate. La verità storica si pone al di fuori di ogni alto condizionamento”, dice all’Adnkronos. La stessa agenzia intervista anche Antonio Balsamo, l’ex Presidente della Corte d’assise di Caltanissetta che emise la sentenza del processo Borsellino quater, definendo quello di via d’Amelio come “uno dei più gravi depistaggi della storia giudiziaria italiana“. “Con la sentenza quater – dice – abbiamo ritenuto che ci sia stato un depistaggio, uno tra i più gravi della storia giudiziaria italiana. E che richiedeva un approfondimento di indagine per tre aspetti: il primo era quello della copertura di una fonte rimasta occulta da cui derivano quelle parti sicuramente vere che sono comuni alle dichiarazioni di finti collaboratori”. Balsamo ripercorre i punti rimasti oscuri sulla strage: “Ad esempio, che il giudice Borsellino non è stato sentito nel periodo che va dalla strage di Capaci a quella di via D’Amelio, neppure dopo che fece quel discorso commovente in biblioteca comunale e disse ‘Io oltre che magistrato sono testimone’. La strage interviene il giorno che precedeva l’inizio della settimana in cui Borsellino doveva essere sentito dalla Procura di Caltanissetta. Il fatto che non sia stata assunta nessuna iniziativa volta a creare una adeguata protezione nei pressi della casa della madre di Borsellino, nonostante questa carenza di una zona rimozione fosse stata più volte segnalata da parte del personale addetto alla tutela di Borsellino. Poi ci sono ulteriori anomalie date dal coinvolgimento nelle indagini sin dall’inizio dei servizi segreti, che il giorno dopo la strage vengono coinvolti in questa attività in modo irrituale. A questo si aggiunge, ad esempio, la presenza di alcune persone che arrivano in giacca e cravatta sul luogo della strage, persone di Roma, appartenenti ai servizi segreti, nella immediatezza della esplosione. Anche questo è un dato emerso per la prima volta nel processo Borsellino quater“.