Dopo una giornata convulsa di vertici interni il leader pentastellato Giuseppe Conte decide per l'Aventino: l'annuncio all'assemblea congiunta dei gruppi parlamentari è stato accolto da una standing ovation. "Non possiamo che agire con coerenza e linearità, i cittadini non comprenderebbero una soluzione diversa", dice. Se i grillini non parteciperanno al voto, il premier salirà al Colle per riferire al capo dello Stato, che potrebbe rimandarlo alle Camere per una verifica (e a quel punto i grillini dovrebbero votare sì). Ma non è detto che l'ex capo della Bce accetti questa soluzione
Aventino sì o no? Dopo una giornata convulsa di vertici interni il presidente del M5s Giuseppe Conte decide per il sì. “Con le medesime, lineari, coerenti motivazioni” che hanno portato i ministri ad astenersi a palazzo Chigi e i deputati a non votare sul merito del provvedimento alla Camera, i senatori grillini usciranno dall’Aula di palazzo Madama al momento del voto sul decreto-legge “Aiuti“: provvedimento in cui il governo ha inserito, accanto a 23 miliardi in sostegni economici contro il carovita, una norma che attribuisce al sindaco di Roma Roberto Gualtieri poteri straordinari per realizzare un inceneritore dei rifiuti, boccone difficilissimo da ingoiare per i pentastellati. Una scelta che comporterà la salita al Quirinale del premier Mario Draghi e la probabile apertura di una crisi di governo. L’annuncio di Conte è stato accolto da una standing ovation di una parte dei parlamentari riuniti in assemblea congiunta: “Non possiamo che agire con coerenza e linearità, i cittadini non comprenderebbero una soluzione diversa”, dice l’ex premier. “Siamo assolutamente disponibili a dialogare e dare un nostro contributo costruttivo a questo governo, ma non siamo disponibili a dare una cambiale in bianco“, ribadisce. Non è bastata l’apertura di Draghi sul salario minimo, uno dei punti della lettera consegnatagli la settimana scorsa da Conte: “È evidente che la fase che stiamo affrontando non può accontentarsi di impegni, occorrono misure concrete“, scandisce il leader M5s.
Ancora prima che l’avvocato concluda il discorso, la prima reazione alle sue parole arriva dalla Lega, il cui segretario Matteo Salvini sta da giorni alla finestra per tentare di capitalizzare la crisi. “Se i 5 stelle escono dall’Aula, la maggioranza non c’è più: basta con litigi, minacce e ritardi, parola agli italiani”, fa scrivere in serata alle agenzie. Passa mezz’ora e arriva Giorgia Meloni: “Guerra, pandemia, inflazione, povertà crescente, caro bollette, aumento del costo delle materie prime, rischi sull’approvvigionamento energetico, crisi alimentare. E il governo “dei migliori” è immobile, alle prese con i giochi di palazzo di questo o quel partito. Basta, pietà. Tutti a casa: elezioni subito!”, scrive la leader dell’unica forza di opposizione, sognando le urne che al momento incoronerebbero Fratelli d’Italia come primo partito. Se i Cinque stelle effettivamente non parteciperanno al voto, Draghi salirà al Colle per riferire al capo dello Stato, che potrebbe rimandarlo alle Camere per una verifica (e a quel punto i grillini dovrebbero votare sì). Ma non è detto che l’ex capo della Bce accetti questa soluzione. E anche per il Pd ormai è chiaro che qualsiasi strappo segnerebbe la fine della maggioranza (nonché dell’alleanza elettorale con il M5s). Quasi tutti, poi – a partire dal premier – escludono l’ipotesi di un Draghi bis sostenuto da una maggioranza ridotta, o addirittura di un governo d’emergenza guidato dal ministro dell’Economia Daniele Franco che traghetti il Paese alla scadenza della legislatura.
La giornata era iniziata con la convocazione, di buon mattino, del Consiglio nazionale del Movimento 5 Stelle, costretto dopo poco ad aggiornarsi alle 19. Nella telefonata di mercoledì pomeriggio con Conte, Draghi si è ribadito irremovibile sulle posizioni espresse pubblicamente il giorno prima in conferenza stampa: o dentro o fuori, il governo non va avanti con gli ultimatum e i diktat sono considerati inaccettabili da parte di chiunque. Anche perché, una volta fatte concessioni al M5s, la Lega è pronta a dettare le sue condizioni un minuto dopo. Così Conte si è trovato di fronte ad un bivio cruciale: chiedere ai suoi di votare sì e rischiare di spaccare senza ritorno il Movimento, compromettendo la sua leadership; oppure assecondare chi da giorni è in pressing per consumare una rottura definitiva. Ha prevalso la seconda strada, ma una discreta fronda all’interno dello stesso Movimento preferirebbe mediare. E anche all’interno della Lega i governatori Attilio Fontana e Luca Zaia, arrivati a Roma per incontrare Draghi sulle Olimpiadi invernali Milano-Cortina, affermano chiaramente di puntare sulla continuità. Giovedì in mattinata Salvini vede i vertici del partito (capigruppo, ministri, governatori) per un punto della situazione, e in serata ha sentito Silvio Berlusconi: tra i due, dettano le solite “fonti della Lega”, c’è piena sintonia e in questa fase le decisioni prese saranno comuni. È quasi mezzanotte, invece, quando parla Luigi Di Maio: “Non votare la fiducia al governo è un fatto grave, è doverosa una verifica di maggioranza. Una crisi di governo nel bel mezzo di una guerra è un chiaro atto di irresponsabilità, così si condanna il Paese al baratro”, è l’attacco del ministro degli Esteri al partito di cui è stato il capo politico.