La reazione inconsulta di alcuni suoi dirigenti locali e nazionali alle dichiarazioni della “sardina” Mattia Santori, che aveva ammesso di coltivare marijuana in casa, confermano come il Pd non sia più il partito di riferimento neanche per i diritti civili. E’ noto come la questione della liberalizzazione delle sostanze stupefacenti, sulla quale centinaia di migliaia di italiani avevano chiesto un referendum poi impedito dalla Corte costituzionale, sia una questione di fondo che riguarda sia la libertà dei cittadini che la questione della lotta alle mafie, che ovviamente traggono enormi vantaggi da un approccio di tipo proibizionista.

Tale partito rappresenta del resto da tempo il vero cardine del governo Draghi, a fronte delle perplessità che si manifestano, per motivi diversi, nei Cinquestelle e nelle forze della destra, per non parlare della finta opposizione di Fratelli d’Italia, che da tale finta opposizione a Draghi sta traendo consensi ed appoggi crescenti nei propri confronti, da parte di un elettorato evidentemente incline a premiare superficialmente chi non fa parte della compagine governativa, pur essendo sostanzialmente concorde sui pilastri sui quali si fonda la sua politica: neoliberismo in economia e partecipazione subalterna alla guerra della Nato in Ucraina, che scivola pericolosamente verso l’abisso della guerra mondiale.

Il Pd ha in effetti deciso di giocare la carta di tutore della responsabilità e stabilità di governo. Ma, trattandosi di un governo come quello in carica da circa 17 mesi – il cui bilancio del tutto negativo è stato illustrato in modo convincente da un lungo articolo apparso sul Fatto del 13 luglio – anche il ruolo del Pd è assolutamente negativo e tale partito, ingombrando in modo improprio un’area politica che la neolingua mistificatoria dei commentatori politici si ostina a qualificare come di sinistra, rappresenta oggi a ben vedere il principale ostacolo ad ogni necessaria e urgente alternativa.

La figura e la storia stessa di Mario Draghi rendevano del resto già manifeste fin dal suo nascere le vere intenzioni e il significato profondamente negativo del suo governo. Non si tratta tanto del fatto che sia un banchiere, quanto di quello che egli costituisca uno dei più coerenti ed efficaci artefici del processo di privatizzazione che, a partire dagli anni Novanta, ha letteralmente sconvolto il panorama istituzionale ed economico italiano, privando di ogni possibilità di realizzazione fondamentali principi costituzionali. Lo Stato italiano, indebolito fino alla più assoluta impotenza, ha dovuto affrontare in questi ultimi venti anni crisi di crescente portata e impatto su tutti i piani, da quello finanziario ed economico a quello ambientale e sanitario, fino a quello tendenzialmente esiziale rappresentato dalla presente guerra in Ucraina coi suoi possibili sbocchi catastrofici.

L’ultimo fondamentale principio costituzionale affossato dal governo Draghi è stato quello del ripudio della guerra consacrato dall’art. 11 della Costituzione repubblicana. L’invio di armi all’Ucraina belligerante ed altre scelte compiute nel quadro della Nato costituiscono infatti, nonostante macchinosi tentativi di sostenere il contrario giustamente avversati dalla migliore dottrina costituzionalistica italiana, evidenti violazioni di questo principio fondamentale. Ed è la stessa appartenenza alla Nato che entra in diretta contraddizione con tale principio, specie alla luce della trasformazione della Nato stessa in alleanza non più esclusivamente difensiva e sempre più proiettata sul piano politico.

Lo schieramento del Pd, senza se e senza ma al fianco di Draghi, della Nato e delle politiche neoliberali – in un Paese nel quale continuano a crescere vertiginosamente povertà e disoccupazione e vengono clamorosamente disattesi anche i più blandi tentativi di dar vita a politica ambientali degne di questo nome – rende oggi evidente come sia necessario chiarire a fondo l’equivoco. Non sono possibili oggi ambiguità o esitazioni su questo punto. La necessaria alternativa da costruire dovrà esserlo sulle macerie del Pd e non potrà certamente contare su chi continua a vivacchiare da tempo all’ombra di tale partito. Anche i Cinquestelle devono chiarire la loro collocazione, come pare stiano facendo in queste ore, rispetto al governo Draghi ma anche rispetto all’alleanza col partito che costituisce il principale sostegno politico di tale governo.

Unico segno positivo, in questo panorama alquanto fosco, è la nascita di Unione popolare che ha svolto sabato scorso a Roma la propria riunione fondativa e che potrebbe diventare il perno dell’alternativa, a condizione di superare i tradizionali difetti della sinistra italiana che sono subalternità politica e culturale, leaderismo, carrierismo dei singoli e incapacità di articolare una azione e direzione autenticamente collettive.

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