Quale sarà davvero il salario minimo in Italia se tra le intenzioni del governo non c’è quella di fissarlo per legge? La risposta potrebbero darla alcuni lavoratori dell’Università Bicocca di Milano, dove i servizi di reception e portierato sono stati affidati a una nuova azienda che ha imposto loro un diverso contratto. Continueranno a fare lo stesso lavoro per 40 ore a settimana, ma se prima prendevano tra i 1000 e i 1200 euro netti al mese adesso ne prenderanno 699: circa 4 euro lordi l’ora. È la miseria prevista dal contratto collettivo dei Servizi fiduciari, il più diffuso nei servizi di portierato e in generale nella vigilanza non armata di cui si servono, tra gli altri, ospedali, istituzioni, banche e supermercati. Ma applicato anche in altri settori proprio in virtù delle basse retribuzioni, spesso la carta vincente per l’aggiudicazione di appalti pubblici che guardano al risparmio senza badare alla realtà del costo del lavoro. Parliamo di un contratto più volte oggetto di contenzioso giudiziario e già dichiarato incostituzionale da diversi Tribunali del lavoro perché in contrasto con l’art. 36 della Costituzione che sancisce il diritto del lavoratore a una retribuzione proporzionata e sufficiente a garantire, a lui ed alla sua famiglia, un’esistenza libera e dignitosa.
Il Ccnl Servizi fiduciari è diventato uno degli emblemi del lavoro povero e della perdita di potere d’acquisto di salari che consegnano all’Italia la maglia nera tra i Paesi OCSE. Con l’inflazione che galoppa e una recente Direttiva europea che rilancia la questione, l’introduzione del salario minimo è finalmente sul tavolo del governo di Mario Draghi. Ma la “via italiana al salario minimo”, come la chiama il ministro del Lavoro Andrea Orlando, ad oggi esclude l’introduzione di una soglia fissata per legge, preferendo applicare ad ogni settore i minimi previsti nei contratti collettivi più rappresentativi, quelli siglati da Cgil, Cisl e Uil, per capirci. Come del resto il Ccnl Servizi fiduciari: sottoscritto da Cgil e Cisl, scaduto da orami sette anni e tuttavia diffuso e drammaticamente rappresentativo del settore. Qualcuno li chiama contratti “corsari”, perché legittimati dalla firma dei sindacati più rappresentativi, ma con retribuzioni tanto basse da sbaragliare anche la concorrenza dei famigerati contratti “pirata” e conquistare interi settori. Il Ccnl Servizi Fiduciari ne è un perfetto esempio e quanto sta accadendo a Milano è purtroppo una storia che si ripete.
Questa volta è toccato a dieci addetti alla portineria delle residenze universitarie dell’Ateneo della Bicocca, lavoratori con mansioni equiparabili a un portiere d’albergo, in protesta da giorni contro il taglio del salario seguito al cambio d’appalto. Già dipendenti della Sodexo, sono stati riassorbiti dalla Prodest che si è aggiudicata il servizio dall’Università. Ma invece dei Ccnl di Multiservizi e Turismo, il nuovo appaltatore decide di applicare il contratto dei Servizi fiduciari e invia una lettera che i lavoratori devono firmare per accettazione, prendere o lasciare. “Quale integrale corrispettivo le sarà riconosciuta la retribuzione di euro 950 mensili al lordo di ogni ritenuta”, dice il telegramma ripreso dal quotidiano il Giorno. Già a maggio Filcams-Cgil e Fisascat-Cisl hanno chiesto alla Direzione Generale dell’Università rassicurazioni sulla continuità retributiva dei lavoratori, auspicando un intervento su Prodest che tuttora non c’è stato. “La Bicocca è il committente e ci auguriamo che voglia interessarsi delle condizioni di chi lavora all’interno delle strutture universitarie, anche verificando che dietro a un risparmio non si nasconda lo sfruttamento”, dichiara Maria Grazia Ferrandi della Filcams di Milano. Intanto, assistiti dall’avvocato del sindacato, i lavoratori che hanno accettato il nuovo contratto chiedono l’adeguamento alla retribuzione del precedente e la stessa condizione pone chi ancora si riserva di valutare il passaggio.
Sono le ennesime vittime di un sistema, quello degli appalti in Italia, dove l’esigenza di risparmiare genera dumping contrattuale e supera spesso i confini della realtà. “In servizi dove il costo del lavoro arriva a rappresentare il 70 o l’80 per cento del costo dell’appalto, se prima pagavi 100 e adesso pretendi di pagare 50 non è realistico pensare che il risparmio non avverrà sulla pelle dei lavoratori”, spiega Cinzia Bernardini, segretaria nazionale Filcams-Cgil. Che sul Ccnl dei Servizi fiduciari aggiunge: “Negli anni molti datori lo hanno applicato in modo forzato a settori prima coperti da altri contratti, ed è proprio questa applicazione selvaggia che tiene fermo il rinnovo di un contratto che a tante aziende sta bene così com’è”. Il sindacato spinge per introdurre nella normativa sugli appalti l’obbligo di dichiarare preliminarmente il contratto da applicare, ma ad oggi l’obbligatorietà non c’è e sono in molti ad opporsi. Così paghe da fame come quelle del Servizi fiduciari dilagano ben oltre i limiti previsti dallo stesso contratto, ormai scaduto da sette anni. Tra le possibili iniziative dell’esecutivo e anticipata più volte da Orlando anche quella di “un’azione sistematica sulla contrattazione che garantisca un rinnovo tempestivo dei contratti e tenga conto dell’inflazione”.
Nell’attesa che si trovi il modo di spingere i rinnovi e di verificarne i risultati, però, sui cosiddetti contratti “corsari” non avrà alcun effetto il salario minimo all’italiana al quale sta pensando il ministero del Lavoro, che proprio a partire dalla contrarietà di buona parte del sindacato al salario minimo fissato per legge lo affida alla contrattazione collettiva e ai minimi dei contratti più rappresentativi, settore per settore. Nel caso dei servizi di portierato e della vigilanza non armata il contratto più rappresentativo, e dunque riferimento settoriale per i minimi salariali, è proprio il famigerato Servizi fiduciari, al quale forse il governo potrà impedire di fare dumping salariale in settori coperti da diversa contrattazione – non è affatto poca cosa, intendiamoci – ma per chi si vedrà applicare questo contratto il salario minimo rimane quello che da pochi giorni ha stravolto le vite dei lavoratori della Bicocca, meno di 4 euro netti l’ora mentre l’inflazione corre e la vita a Milano non è mai stata così cara. L’unica possibilità per sottrarre adesso questi lavoratori alla povertà lavorativa è il salario minimo legale, un soglia della dignità che fissi l’asticella dove la contrattazione collettiva non arriva, ad esempio a 9 o 10 euro l’ora come in alcuni disegni di legge che si trascinano in Parlamento. Altrimenti non resta che quello che alcuni giuslavoristi chiamano “l’unico salario minimo che l’Italia ha mai avuto”, l’articolo 36 della Costituzione al quale il singolo lavoratore può sempre appellarsi portando il suo datore in Tribunale.