Inaugurata appena un anno fa per produrre semiconduttori, la fabbrica di Dresda (“la più moderna al mondo”) è già destinata all’ampliamento. Al miliardo (un quinto coperto da sovvenzioni pubbliche) investito per la sua realizzazione, cominciata nel 2018 e quindi ben prima della crisi, Bosch aggiungerà almeno altri 400 milioni di euro per ampliare la cosiddetta “clean-room” e una parte dei 170 preventivati per la realizzazione di due nuovi centri sviluppo (l’altro sarà a Reutlingen).
La multinazionale tedesca ha ufficializzato un nuovo piano di investimenti da tre miliardi che verrà completato entro il 2026 (i contributi europei potrebbero arrivare a coprire fino al 40% del totale). “I microprocessori sono il cuore dell’innovazione – sintetizza Stefan Hartung, il Ceo di Bosch nel corso del Tech Day 2022 – e la microelettronica rappresenta il futuro”. I componenti altamente miniaturizzati vengono montati ovunque e assicurano ricavi a profitti. Solo nelle auto, settore del quale Bosch è il leader mondiale della fornitura, il loro valore equivaleva a 120 euro nel 1998, era salito a 500 nel 2018 e sarà di almeno 600 l’anno prossimo.
Il giro d’affari è destinato a crescere in maniera esponenziale e la crisi degli ultimi anni ha indotto Bruxelles a correre ai ripari varando un piano IPCEI, acronimo di Important Project of European Common Interest, per il comparto. L’obiettivo è raddoppiare la produzione europea di semiconduttori e portarne la quota a livello globale al 20%, pari quasi al fabbisogno delle proprie aziende: “Mai come ora, l’obiettivo deve essere quello di produrre i chip per le esigenze specifiche dell’industria europea. Questo significa non limitarsi a produrne di quelli di dimensioni estremamente piccole”, dice Hartung. Pur escludendo l’ipotesi autarchica avverte che “l’Europa può e deve investire nel settore dei semiconduttori”.
L’impianto 4.0 della Sassonia è uno dei due siti sui quali verranno dirottati i 3 miliardi del nuovo piano. L’operazione di Bosch è politicamente strategica per la Germania, dove punta a mantenere l’occupazione e una produzione cruciale e ad alto valore aggiunto. Ma il progetto non riguarda solo le apparecchiature e i processi, ma anche i cervelli: a Milano Bosch ha un Design Center che si occupa dei MEMS, i MicroElectronicMechanical Sensors, che potrebbe venire coinvolto nelle ampliate attività della multinazionale. Che ha deciso di aumentare dai 6,1 miliardi del 2021 (quasi l’8% dei 78,5 miliardi di giro d’affari) ai 7 miliardi di quest’anno gli investimenti in ricerca e sviluppo.
“Ci prepariamo alla crescita continua della domanda di semiconduttori”, prosegue Hartung, che non dimentica di ricordare come nella metà degli smartphone siano già installati chip di Bosch. La società si concentra sui microprocessori più “grandi”, da 300 millimetri, perché sono quelli necessari anche alle esigenze interne. Tra gli impieghi più comuni di quelli assemblati a Dresda (li chiamano “grattacieli” per avendo spessori ridottissimi perché sono su 35 livelli e per la cui realizzazione sono necessari 800 passaggi che possono portare via fino a un anno) ci sono gli elettroutensili, ma anche, per quanto riguarda l’automotive, Abs, Esp, sistemi di sterzo e di sicurezza per gli airbag.
Nel giro di tre anni, fra il 2016 e il 2019, Bosch aveva già raddoppiato il numero dei chip montati su ogni auto (da 9 a 17). La multinazionale tedesca non intende tuttavia dirottare l’intera produzione al segmento dell’auto, anche se la mobilità sostenibile apre nuovi orizzonti. Con i diffusi chip al carburo di silicio impiegati sui veicoli ibridi ed elettrici è già riuscita a incrementare i margini fino al 6% e adesso ragiona all’adattamento a tensioni più elevate (fino a 1200 V) rispetto a quelle di smartphone e computer di quelli al nitruro di gallio.
Nonostante ripetute interruzioni della catena di fornitura, a Dresda la produzione non è mai stata nemmeno rallentata: ogni semestre vengono consumati tra l’altro palladio e oro per un controvalore attorno ai 2 milioni di euro. La “tensione” sui mercati è destinata a restare perché non tutti i semiconduttori sono uguali: per alcuni tipi l’offerta supererà la domanda, per altri la richiesta resterà superiore alla disponibilità.