Passano i decenni, ma il livello del dibattito sulla cannabis rimane sempre rasoterra. A spingerlo verso il basso il giovane Mattia Santori, il quale a titolo di testimonianza ci tiene ad affermare che le canne se le fa e se le coltiva. Simile affermazione a cui potrebbe essere dedicata la rubrica di Settimana Enigmistica, “La sai l’Ultima”, diventa notizia da pagine di quotidiani nazionali e degna di una severa reprimenda del Pd bolognese.

A dirla tutta anche la reprimenda esprime la tipica cautela di chi, sul fenomeno della legalizzazione della cannabis, ci ha capito poco o nulla, o più semplicemente non si vuole confrontare. Perché, a ben pensarci, se volessimo realmente affrontare questo fenomeno seguendo quale politica sociale quella della legalizzazione, non potremmo non interrogarci su come e cosa fare con l’universo minorile. Universo, non ci si scandalizzi, che di cannabis ne consuma in discrete quantità e con risultati non sempre così brillanti come sembra voglia affermare Santori indicandosi come esempio di consumatore abituale.

Personalmente io sono per la legalizzazione della cannabis, ma non nascondo la costante preoccupazione di una dimensione dell’adolescenza, oggi più che mai in sofferenza, il cui mondo valoriale è messo a dura prova da ciò che gli abbiamo confezionato. Che sarà anche di abbondanza materiale, ma difetta di povertà relazionale ed educativa. Un mondo in cui i luoghi di aggregazione a valenza educativa (si pensi agli oratori) stanno scomparendo, dove la scuola perde di centralità (ricordiamo sempre i dati della nostra impressionante dispersione scolastica) e – non ultimo – in cui la famiglia ha subito una radicale trasformazione. Dove i servizi che si occupano di disagio, prima ancora che di malattia, sono abbandonati a loro stessi, privati di risorse umane ed economiche. Lo stesso associazionismo sportivo pare essere, per i meno abbienti, poco accessibile, posto che è a pagamento.

In questa situazione, ogni discorso sulla legalizzazione che non affronti anche la questione educativa, ridisegnando i confini di politiche sociali che si intersecano con le politiche giovanili che siano meno desolanti e più rispondenti alle loro necessità, è discorso che di politico ha solo l’amaro sapore dell’accondiscendenza verso una tifoseria piuttosto che un’altra. Quindi, per quel che mi riguarda, la cosa più lontana dalla politica – se per politica intendiamo un serio tentativo di contemperare interessi, tra loro, talvolta contrapposti.

Non c’è progressismo nel coltivare una posizione politica partendo da tali presupposti: al contrario vi ritrovo un appiattimento che tradisce, a sinistra, la mai sopita voglia di trasformare l’esistente. Oggi tale trasformazione si innerva in nuovi modelli sociali che diano spazi, luoghi e risorse capaci di determinare quel bisogno educativo da cui, in buon ordine, società, famiglia, scuola stanno abdicando. Al contrario le politiche perseguono quei bisogni securitari che fanno sì che si parli di minori solo quando disturbano la notte, rubano o si picchiano tra loro, con buona pace delle ragioni che determinano tali comportamenti.

Questa è la sfida su cui innestare il cambiamento legato alla legalizzazione. Proteggere i nostri figli è prioritario e, se non si individuano le priorità cercando di incidere sui processi sociali che hanno relegato l’adolescenza a mera questione di ordine pubblico, ogni cambiamento rischia di peggiorare l’esistente. Quindi Santori aggiunga alla sua testimonianza anche una riflessione sui soggetti che dalla legalizzazione trarrebbero i minori benefici. E non certo per inficiare la bontà di una riforma che andrà fatta, ma per contribuire – politicamente e non a mero titolo di boutade – a ridisegnare il presente.

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