Che in questi periodi suonino le sirene d’allarme in casa Napoli non è una novità. Piazza splendidamente passionale, e dunque umorale, che di fronte al calciomercato quasi sempre accorto e ragionato di De Laurentiis spesso ha palesato malumore e preoccupazione. C’è da dire tuttavia che nella maggior parte dei casi ha avuto ragione il patron, quantomeno “ai punti”: non ha mai vinto, questo è vero, ma ha mantenuto la barra dritta qualificandosi 13 volte di seguito in un posto utile per accedere alla Coppe Europee, tra le prime sette dunque. Questa volta tuttavia tra addii di massa, una contestazione fortissima e preoccupazioni percepibili anche nei principali protagonisti, forse sarebbe fuorviante puntare tutto sull’umoralità della piazza, almeno ad oggi. Già: sacrificare i campioni nel calcio attuale è pura normalità. Anzi, il Napoli forse rappresenta un unicum per tempi di permanenza dei suoi big: l’Inter dopo lo scudetto ha sacrificato Hakimi, preso solo un anno prima e Lukaku e in questa stagione potrebbe perdere Skriniar, la Juventus potrebbe vendere De Ligt, il Milan ha perso Kessie. Per contro il Napoli ha tenuto i vari Koulibaly, Insigne, Mertens, Zielinski, Fabian Ruiz per tante stagioni, resistendo agli assalti delle big internazionali che pure ci sono stati.

Una politica che non ha premiato con vittorie di titoli (se non due Coppe Italia e una Supercoppa), ma che ha consentito alla squadra piazzamenti del tutto onorevoli e una costanza di rendimento che altre squadre non hanno avuto. Tuttavia l’addio collettivo della colonna portante azzurra, nello spogliatoio e in campo, con Mertens, Insigne, Goulham, Ospina e Koulibaly via in un sol colpo è un’eventualità che forse neppure la società si aspettava di affrontare. Non l’allenatore Spalletti, che nella certezza di perdere Insigne e conscio delle alte probabilità di trovarsi anche senza Ospina e Mertens immaginava di poter avere almeno il suo “Comandante”, Koulibaly, su cui costruire il gioco della squadra. Non bastassero gli addii il Napoli si ritrova a dover gestire pure malumori interni: Politano vorrebbe andar via, come ha palesato il suo agente, Fabian Ruiz pure, con tanto di rifiuto del rinnovo del contratto, stessa situazione di Ounas. Insomma: non il miglior modo per affrontare la stagione del ritorno in Champions dopo due anni, quella in cui a detta del patron si cercherà di fare di tutto per riportare lo scudetto al Napoli.

Dichiarazione ufficiale, quella di Adl, in sede di presentazione del ritiro di Dimaro lo scorso 30 maggio: “Ci proveremo, ma se non dovessimo riuscirci non dovremo deprimerci”, disse il presidente. Dichiarazione che cozzava nettamente con quella dell’allenatore Spalletti venti giorni dopo, quando ai microfoni di Sky diceva: “Scudetto? Lecito domandarlo, ma sarà difficile arrivare tra le prime quattro”. Non sembra pretattica, visto che sarà inevitabilmente difficile sostituire gente come Koulibaly, Insigne e Mertens, col campionato che inizia tra un mese. E il gap comunicativo azzurro, tuttavia, è venuto di nuovo fuori nell’ultima settimana, con il ds Giuntoli che in conferenza stampa chiudeva nettamente all’ipotesi Dybala “Non ci abbiamo mai pensato, non è alla portata”, e il vice presidente Edoardo De Laurentiis che all’arrivo in Trentino ammiccava un “chissà, le vie del Signore sono infinite”. Lo stesso figlio del patron che in Trentino si è tirato addosso, nel vero senso della parola, la contestazione dei tifosi, sostanziata nell’adesivo “A16” finito sulla parte posteriore della sua automobile.

Già: uno slogan, “A16” con cui una parte di tifosi accompagna ogni uscita ufficiale (in particolare sui social) della società azzurra. Perché A16? E’ la sigla dell’autostrada che da Napoli porta a Bari, e in base a ciò i fan napoletani invitano Adl a percorrere la tratta da Napoli a Bari in virtù del discorso multiproprietà. Col Bari in B, e con la situazione attuale visti i ricorsi di Adl bocciati dalla giustizia federale (in attesa del Coni ed eventualmente della giustizia ordinaria) il patron dovrebbe cedere una delle due società entro l’estate 2024 o già nel 2023 qualora i galletti riuscissero a salire in A già al termine di questa stagione. “A quel punto venderemo il Napoli” ha dichiarato Luigi De Laurentiis, altro figlio di Aurelio alla guida del Bari, ma con quella che pareva a tutti gli effetti una battuta. Battute, perché ad oggi trattative per la cessione del club azzurro non risultano: al netto di qualche tweet dello sceicco Al Thani sulle vicende della squadra che fa sognare la tifoseria. Sogni, appunto. All’orizzonte però c’è la realtà: una stagione da giocare senza i pilastri degli ultimi anni (al netto di un eventuale ritorno di Mertens, a 35 anni suonati), con l’alone, prettamente cabalistico più che altro, del secondo anno di Spalletti tradizionalmente ostico e ancor prima con un calciomercato assai complesso. Difficilissimo perché bisogna trovare l’equilibrio tra l’esigenza di riaccendere l’entusiasmo dei tifosi, e quello si ottiene con (almeno) un colpo ad effetto, e quello di sostituire adeguatamente i partenti di lusso. C’è da dire che Adl si è destreggiato bene in circostanze simili: quando è andato via Cavani ha preso Albiol, Koulibaly, Mertens e Callejon, quando è andato via Higuain è andato vicinissimo a vincere lo scudetto con Sarri e i tre piccoletti: stavolta la sfida però è molto più difficile.

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