Contatti e riflessioni per cercare di arrivare a una linea condivisa. E farlo in fretta. Giuseppe Conte, il giorno dopo le dimissioni respinte di Mario Draghi, ha dedicato mattina e pomeriggio a sentire i vertici del Movimento 5 stelle. I membri del governo innanzitutto, poi alcuni dei parlamentari a lui più vicini. Ma il vero confronto sarà sabato alle 10, quando è stato convocato il Consiglio nazionale (dopo una prima convocazione per venerdì sera. Lì, nel corso di quella riunione che si prospetta lunga e molto tesa, il M5s dovrà decidere come muoversi nei prossimi giorni. E, soprattutto, se intende continuare a sostenere il governo Draghi (se questo esiste ancora) e come si potrebbe posizionare in caso di voto di fiducia. Venerdì sera, lasciando la sede dei 5 stelle, l’ex premier ha gettato acqua sul fuoco: “Adesso innanzitutto l’appuntamento mi sembra sia mercoledì in Parlamento”. I 5 stella hanno deciso come muoversi? “Non è questione di aver deciso, è il presidente Draghi che si presenta in Parlamento”, ha risposto spiegando di non avere “avuto occasione di sentirlo” e smentendo di aver chiesto ai suoi ministri di ritirarsi. Poi, a chi gli chiedeva se è stato Draghi a far scoppiare la crisi, ha risposto: “Noi rispondiamo dei nostri comportamenti e Draghi risponde dei suoi”.
L’ipotesi voto della base – Gli interrogativi sul tavolo, però, restano tanti tanti: la strategia di non votare il decreto Aiuti, senza però mettere in discussione tutto l’esecutivo, non basta più. E ora bisogna capire se si vuole andare fino in fondo. Il problema è che non tutti la pensano allo stesso modo e l’ultima parola spetterà a Conte. Le scelte definitive, è un’altra delle soluzioni al vaglio, potrebbero poi essere sottoposte alla consultazione degli iscritti online. “Ci sono tutte le ipotesi in campo, assolutamente”, ha detto la capogruppo in Senato Mariolina Castellone lasciando la sede del Movimento. “Ci siamo riuniti, abbiamo un organo politico, il Consiglio nazionale”.
Le ipotesi sul tavolo – Sono ore molto confuse, come ripetono i vari parlamentari interpellati. Le strade, al momento, sono tre: uscire dal governo subito; restare dentro e prepararsi a votare la fiducia se Mario Draghi accettasse di sottoporsi a una verifica in Parlamento; prepararsi a uscire dalla maggioranza, ma prima valutare bene la strategia per affrontare la crisi. Ci sarebbe pure l’ipotesi di ricorrere a un voto dell’assemblea degli iscritti M5S, per decidere quale linea tenere nei confronti del governo Draghi. Secondo le indiscrezioni dell’agenzia Ansa, a spingere per uscire dal governo sono i vicepresidenti Riccardo Ricciardi, Michele Gubitosa, Mario Turco e Paola Taverna, secondo una linea che, accreditano calcoli interni, sarebbe condivisa da circa il 70% dei parlamentari 5 stelle. Una percentuale che, stando alle ultime indiscrezione confermate dall’agenzia Lapresse, si starebbe assottigliando di fronte alle spinte più “governiste”. Tra chi spinge per confermare la fiducia in un’eventuale verifica ci sono almeno due dei tre ministri del Movimento, Fabiana Dadone e Federico D’Incà, così come il capogruppo alla Camera Davide Crippa (che intanto ha convocato per domani l’assemblea dei deputati) e, fra gli altri, il sottosegretario Carlo Sibilia. Fra gli ‘attendisti’, che starebbero invitando a valutare con attenzione la strategia prima di prendere la decisione finale, vengono citati il ministro Stefano Patuanelli, la sottosegretaria Alessandra Todde, ma anche due esponenti storici del M5s Alfonso Bonafede e Chiara Appendino. Tra gli scettici pare esserci anche Riccardo Fraccaro che, nelle sue stories di Whatsapp, ha postato un fotomontaggio di Conte al posto di Matteo Salvini nel deejay-set del Papeete con un mojito in mano. “Tengo a precisare”, ha detto poi, “che l’immagine mi è arrivata dalle chat e inavvertitamente è finita sul mio stato. Non c’è nessuna provocazione, è stato semplicemente un errore”. Ma ormai era troppo tardi e qualcuno ha avvertito i giornalisti.
Il muro dei ministri (almeno due) – In mattinata Conte ha visto, innanzitutto, i tre ministri M5s. E, secondo l’agenzia Adnkronos, durante il confronto è emersa la loro preferenza perché si proceda confermando la fiducia al governo Draghi. Sempre che sia ancora possibile arrivare a una ricucitura interna tra gli alleati. La fiducia, avrebbe detto anche il capodelegazione Stefano Patuanelli, va votata se ci sarà una verifica di maggioranza. Per l’Ansa, il ministro dell’Agricoltura è invece molto più prudente. Chi è, invece, chiaramente “governista” è la titolare del ministero per i Giovani Fabiana Dadone, ma soprattutto il ministro dei Rapporti col Parlamento Federico D’Incà. Proprio quest’ultimo è stato descritto come il più duro: anche oggi, come già nel Consiglio nazionale di ieri, ha apertamente contestato la scelta dell’Aventino parlamentare. Che, a suo dire, “rischia di mettere in crisi il Paese in un momento delicatissimo“. E non ha nascosto le su preoccupazioni “per gli obiettivi europei che abbiamo davanti e che non possiamo mancare. Non si capisce il senso di questa decisione ora, dopo aver consegnato a Draghi dei punti che dovevano anche essere recepiti nel prossimo decreto di 15 miliardi” al centro del confronto con le parti sociali e atteso per la fine del mese. In quel confronto, Conte non avrebbe chiesto dimissioni anticipate alla delegazione di governo, ma, riportano le stesse fonti, le avrebbe sì sondate su questa opzione, non eliminandola dunque dal tavolo.
Crippa convoca i deputati. Ma Conte non era al corrente – Ma non c’è solo il piano dei vertici e dei più vicini a Conte. C’è una pattuglia di parlamentari che ha assistito alla scissione di Di Maio, appoggiato la resa dei conti di Conte sui temi cari al Movimento, ma ora chiede prudenza sullo strappo. Tra questi c’è il capogruppo alla Camera Davide Crippa che, in autonomia, ha deciso di convocare i deputati per un’assemblea sulla crisi di governo per sabato 16 luglio. Apparentemente tutto normale, ma nel quartier generale di via di Campo Marzio suona l’allarme, perché della convocazione si apprende via lancio di agenzia, ma soprattutto perché ieri -come raccontato dall’Adnkronos- tra Crippa e il leader Giuseppe Conte, in Consiglio nazionale, non sono mancate le tensioni. Non solo. I senatori sono guardati con sospetto perché, come noto, sono i più ‘barricaderi’, quelli che più hanno il dente avvelenato con Draghi e che tifano per lo sgambetto. Anche alla Camera l’esecutivo viene visto come fumo negli occhi -innegabile- ma a Palazzo Madama la voglia di lasciare ha toccato picchi ben più alti. Tanto da indurre Crippa a pensare, ma anche i ‘governisti’ del Movimento, che mercoledì scorso, prima del Consiglio nazionale decisivo in cui si è scelto l’Aventino parlamentare, siano stati i senatori -orchestrati da Paola Taverna e Mario Turco– a spingere Conte ad andare dritto. C’è anche questa tra le accuse mosse ieri da Crippa a Conte: ecco perché nel quartier generale grillino si teme che la riunione di Montecitorio sia stata convocata per spaccare i gruppi. Ieri, come ricostruito dall’Adnkronos, tra i due ci sarebbero state scintille. Con il capogruppo che avrebbe accusato il leader dei 5 Stelle di prendere le decisioni con “il solito cerchio magico”, disattendendo le indicazioni del Consiglio nazionale. Che mercoledì era stato sospeso nell’attesa della telefonata tra Draghi e Conte, dunque aggiornato in serata “ma con la decisione già in tasca”, l’accusa mossa dal presidente dei deputati all’ex premier. Che però non avrebbe incassato ma risposto per le rime.