Siccome vincere è difficile, ma riconfermarsi lo è ancora di più, un anno dopo la straordinaria pagina di storia scritta alle Olimpiadi, la stessa nazionale arriva negli Usa con pochissime buone sensazioni. Tutto ruota attorno alle condizioni di Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi. Il più in forma? Massimo Stano, oro nella marcia. La prospettiva è un ritorno alla normalità, che non sarebbe una bocciatura: il movimento resta in crescita
Un anno fa, più o meno di questi tempi, l’Italia dell’atletica leggera si preparava alle Olimpiadi di Tokyo 2021, la più inattesa, incredibile, straordinaria pagina della storia dell’intero sport italiano. Siccome vincere è difficile, ma riconfermarsi lo è ancora di più, un anno dopo la stessa nazionale arriva ai Mondiali 2022 di Eugene (Stati Uniti) con tante aspettative ma pochissime buone sensazioni. E il rischio di fare flop come nelle annate peggiori del recente passato.
Come sta Marcell Jacobs? Quasi l’intera spedizione azzurra ruota intorno alle condizioni fisiche del bicampione olimpico. Una specie di Godot, dopo i Giochi. Da allora lo sprinter italo-americano non si è praticamente mai visto: nel 2021 non ha più corso, nel 2022 aveva cominciato bene centrando l’obiettivo minore dell’oro sui 60 metri ai Mondiali indoor di Belgrado, ma poi la macchina si è inceppata più volte. L’ultima giusto un paio di settimane fa, quando ha saltato il meeting di Stoccolma dove avrebbe dovuto rifinire la preparazione. La riserva è stata sciolta solo all’ultimo: negli Usa Jacobs ci sarà, ma non si sa come e quanto correrà. In un panorama per altro molto più competitivo rispetto a quello di un anno fa: a Tokyo l’azzurro aveva stupito il mondo, facendo segnare tempi inimmaginabili (9’’80 il suo record in finale) e prendendosi di forza lo scettro di una disciplina in cerca d’autore. Quest’anno abbiamo assistito all’esplosione dell’americano Fred Kerley, che si presenta in Oregon da favorito con un clamoroso 9’’76, oltre alla conferma dei vari Bromell, Bracy, Seville: già in 8 hanno fatto meno di 9’’90 che bisognerà migliorare per sperare nel podio, mentre Jacobs correndo poco e male non è mai sceso sotto la soglia psicologica dei 10 secondi. Insomma, la sua gara sarà tutta in salita. I critici che hanno malignato sul suo trionfo olimpico già lo aspettano al varco.
È chiaro che senza di lui cambierebbe tutto. Un po’ perché parliamo della gara simbolo, che un anno fa ha cambiato la storia dell’atletica italiana. Un po’ perché la sua assenza toglierebbe competitività anche alla 4×100, visto che Filippo Tortu fin qui non ha mai convinto in stagione, lontanissimo dai tempi dell’élite mondiale, e anche gli altri azzurri (Desalu, Patta) non stanno granché. Il più in forma che potrebbe prendere il posto di Jacobs in staffetta e magari sorprendere anche a livello individuale è la new entry Chituru Ali, 23 enne comasco dal fisico imponente, in netta crescita negli ultimi mesi: il suo primato è comunque fermo a 10’’15, limare un paio di decimi ed entrare in finale sarebbe comunque un miracolo.
Insomma, nella velocità bisogna incrociare le dita e sperare in Jacobs. Ci sarà di sicuro invece l’altro oro e volto di Tokyo, Gianmarco Tamberi, anche se pure lui non arriva a Eugene in condizioni ottimali, con la polemica del divorzio annunciato e poi ricucito col padre allenatore. Tamberi in stagione ha saltato anche 2,30 (solo in 4 hanno fatto meglio), ma con grande discontinuità. Può ambire a una medaglia, però non è favorito. Certo, non lo era nemmeno alle Olimpiadi ma con i cinque cerchi aveva un conto in sospeso, stavolta l’incanto potrebbe anche non ripetersi. Considerato il forfait di Antonella Palmisano (problemi all’anca), l’ultimo degli olimpionici è forse anche quello con più possibilità di ripetersi: Massimo Stano, oro nei 20 km ai Giochi, è in forma e meno assillato dai riflettori, anche se stavolta si cimenterà nella distanza ibrida dei 35 km. E poi la marcia è sempre un po’ un terno al lotto.
Inutile fare paragoni con un anno fa: i cinque ori sono senz’altro irripetibili (ma questo si sapeva già), i reduci di Tokyo o non sono in buone condizioni o non ci sono proprio. Il resto della squadra sarà una pattuglia di 60 atleti, con l’obiettivo di centrare qualche buona finale, soprattutto nel mezzofondo (Sabbatini, Delbuono, Abdelwahed) e nel peso (Ponzio), sperando di pescare qualche jolly nel mazzo: la carta migliore probabilmente è Elena Vallortigara nel salto in alto femminile, nel lungo da seguire sempre con curiosità i progressi di Larissa Iapichino, figlia di Fiona May, che però recentemente sembrano essersi un po’ fermati. Insomma, meglio dimenticarsi dei trionfi olimpici. Anzi, la prospettiva di un salto indietro nel passato e di un Mondiale a zero vittorie, se non addirittura zero medaglie, non è così peregrina. Non sarebbe comunque una bocciatura per un movimento in ripresa, come dimostrano i risultati degli ultimi tempi e all’orizzonte la stellina del giovane Mattia Furlani pronta a brillare. Ai Mondiali di Eugene, l’Italia dell’atletica dovrà solo tornare alla normalità dopo il sogno di Tokyo.