Per la giornata mondiale per le competenze dei giovani, che si celebra il 15 luglio, mi piace riportare la ricetta di un formatore esperto, il preside Tommaso De Luca: “Una scuola tecnica non prepara tecnici, che sarebbe riduttivo, né forma persone, che è astratto anche se suona bene. Forma tecnologi: donne e uomini che progettano, costruiscono, mantengono una macchina, attenti all’impronta ambientale che lascerà, all’impatto sociale che avrà la sua introduzione, alle modifiche dell’immaginario collettivo che produrrà; la tecnica entra allora a sistema con l’economia, le scienze della società, dell’uomo, con la letteratura e via di questo passo”.
Non solo parole, ma l’esperienza di una vita in cui un docente di storia – “un umanista, non prestato, ma convertito all’istruzione tecnica”, come si definisce – ha costruito un pezzo di storia di Torino e dell’Italia, quello di migliaia di giovani che entrano nel mondo del lavoro subito o poco dopo il diploma, grazie a una preparazione tecnica adeguata e una bella formazione umana.
La vicenda professionale di Tommaso De Luca a capo dell’Avogadro di Torino, un istituto molto rilevante per il tessuto sociale piemontese e uno dei primi nati in Italia, non è stata solo quella di un preside dietro la scrivania – con la porta comunque socchiusa per accogliere chiunque volesse parlare con lui – ma di quella della persona che gli studenti vedevano per primo ogni mattina, nell’androne dell’istituto, vigile, presente, sorridente e che aleggiava per le scale, nei corridoi, nel bar della scuola, pronto a fermarsi per sentire le esigenze di tutti. E impegnandosi sia per far mantenere alla scuola una osmosi con le istituzioni pubbliche e private del territorio e con il mondo della cultura, sia per ampliare e valorizzare l’istruzione tecnica femminile e dare alle ragazze pari opportunità.
Anche in questi ultimi anni di Covid è rimasto sulla breccia, a combattere per essere vicino a docenti e studenti a distanza e poi in presenza e continuare a garantire il rapporto umano e un alto livello di istruzione anche con le mascherine e i numeri ridotti nei laboratori. Questo percorso non si conclude ora con il pensionamento ma continua nei mille rivoli costituiti dai percorsi umani e professionali degli studenti e delle studentesse che in questi decenni, insieme al corpo docente e al personale dell’Avogadro, ha formato con la passione quotidiana e con una visione lungimirante.
In occasione della presentazione di un progetto dell’Avogadro in collaborazione con il Cern di Ginevra, il preside De Luca mi disse “Più di trentacinque anni di scuola mi hanno fatto capire quanto il sistema così com’è possa essere mortificante, deresponsabilizzante, generico e come si debba cercare di scardinarlo, non per gli studenti, ma con gli studenti, tutte le volte che è possibile”. Scardinarlo in senso buono, si intende, come ha dimostrato nei decenni come dirigente scolastico, con progetti concreti e a volte originali realizzati in collaborazione con il mondo del lavoro, delle arti e con l’università in un interscambio proficuo.
Infatti, secondo De Luca, “scuola, università e ricerca si sono oggi allontanate e io ritengo inspiegabilmente. Non mi convince per nulla infatti la tesi che per via dell’enormità dei progressi la scienza possa essere appannaggio delle sole accademie. Un tempo, fino a vent’anni fa, scuola e università si scambiavano spesso, ad esempio, docenti e a scuola si faceva una piccola parte di ricerca applicata, ad esempio in alcuni ambiti tecnologici. Non c’è un solo motivo per cui non si possa continuare ancora”.
Parole su cui riflettere, in un momento in cui si parla di riformare la scuola con le proposte più cervellotiche e motivazioni così improbabili da apparire strumentali a interessi che nulla hanno a che vedere con le giuste esigenze delle giovani generazioni, fra cui quelle di maturare una cultura adeguata e competenze spendibili in un lavoro stabile e correttamente remunerato.