“2018: roghi, discariche, materiali tossici. Sarebbe bellissimo bonificato senza sfasci, accampamenti abusivi ed attività illegali. Mezzo milione di romani: da Cinecittà al Lamaro, da Centocelle al Quadraro, da Don Bosco a Tor Pignattara e Torre Spaccata. Tutti intossicati a 5 km in linea d’aria dal Colosseo. Basta con questo scempio vogliamo un parco!”. Quel che si legge sulla home del portale del Comitato per la liberazione e salvaguardia del Parco archeologico di Centocelle, mentre scorrono alcune immagini dall’alto, non è aggiornato. Ma aiuta a capire qual è la storia che sta dietro all’ultimo incendio che il 9 luglio ha oscurato il cielo di Roma, dopo aver investito anche depositi di autodemolizione. Un episodio che ha riproposto una questione che continua a rimanere irrisolta da anni.
L’area verde tra via Casilina, viale Palmiro Togliatti, via di Centocelle e via Papiria è la più importante del V municipio. Eppure dei 126 ettari stabiliti, la porzione fruibile è soltanto di 33. In abbandono e pericolosi. La storia del Parco di Centocelle è costellata di incompiute. Almeno dal 2006 quando i lavori relativi al primo stralcio, nell’area dell’ex aeroporto militare, vengono completati e una porzione di parco aperta al pubblico. Sembra l’inizio di un progetto che però rimane irrealizzato. Non sono stati sufficienti tre sindaci di schieramenti differenti, un commissario prefettizio e un’infinità di assessori all’ambiente e alla cultura, non solo per completarlo, ma nemmeno per bonificarlo o rendere fruibili le testimonianze archeologiche.
Agli inizi di marzo una mozione della maggioranza di centrosinistra, approvata in consiglio comunale, ha previsto l’istituzione di una Conferenza dei servizi e deciso gli interventi da avviare in tempi brevi. Innanzitutto la rimozione dei rifiuti nell’area del cosiddetto Canalone. Poi “una ricognizione sulla procedura” per una seconda tranche di lavori e per la regolarizzazione degli accessi all’area. E soprattutto la questione della delocalizzazione degli autodemolitori lungo viale Palmiro Togliatti.
In aggiunta ci sono le evidenze archeologiche, che caratterizzano il parco, evidentemente. Evidenze in parte documentate negli anni Venti, durante i lavori per la costruzione del campo di aviazione di Centocelle, soprattutto rilevate nel corso degli anni Novanta, dalle indagini archeologiche preliminari alla realizzazione del cosiddetto Sistema Direzionale Orientale. A parte un’area di necropoli, un deposito cultuale ed un altro datato ad età repubblicana, sono state identificate diverse ville: quella denominata delle Terme conserva esclusivamente gli ambienti termali, scampati alle distruzioni provocate dalle moderne cave di pozzolana; una seconda, di dimensioni grandiose, con differenti fasi edilizie e nuclei con diverse destinazioni d’uso. L’elemento più spettacolare del complesso, una piscina utilizzata come peschiera, capace di contenere mezzo milione di litri d’acqua. Soprattutto, la cosiddetta Villa ad Duas Lauros, identificata con la proprietà di Flavia Giulia Elena Augusta, madre di Costantino. Il complesso presenta diverse fasi costruttive che vanno dall’età repubblicana fa quella tardo-antica, quando arrivò ad occupare quasi due ettari dei quali uno destinato a verde. Nel corso del 2020 la Sovrintendenza capitolina ha realizzato dei saggi archeologici nell’area della villa per verificare la fattibilità di un progetto di valorizzazione, anche attraverso la realizzazione di un polo museale.
Il 27 giugno la Giunta capitolina ha approvato il finanziamento di 5,750 milioni di euro, tra quelli per gli interventi finanziati dal Recovery fund. Ma la cautela è necessaria perché le risorse non sono mai mancate, ma non sono mai state impegnate. È accaduto nel novembre 2007 con i 2,3 milioni di euro deliberati dal consiglio comunale. È accaduto nel 2015 con lo stanziamento di 2 milioni di euro per il cantiere: il progetto esecutivo non fu mai presentato, con conseguente stralcio del finanziamento. È accaduto nel 2019, con la gara per l’affidamento del progetto, per un importo di 177.232 euro ai quali si sarebbero potuti aggiungere 2,5 milioni di euro per la realizzazione finale. Risorse finite nell’elenco delle opere definanziate nella manovra economica del 2020. Il motivo? Mancanza dei “requisiti minimi essenziali di progettazione”, necessari per impegnare i centri di costo.
Questioni archeologiche, ma anche ambientali. La discarica ammassata nell’ex tunnel realizzato nel 1941, l’ex Canalone Mussolini, nell’area del campo nomadi Casilino 900, sgomberato nel 2010, è ancora lì. Per spegnere (a fatica) un incendio nel gennaio 2017 i vigili del fuoco impiegarono un mese e mezzo. A quel punto la sindaca Raggi firmò un’ordinanza che prescriveva la caratterizzazione dell’immondizia, la verifica della tipologia, la scelta della discarica in cui smaltirla e infine la bonifica. ”La situazione di inquinamento diffuso è una condizione assimilabile a quella che c’è in Campania” disse all’epoca Laura D’Aprile, ingegnere a capo della direzione Rifiuti capitolina. In realtà – dopo oltre 5 anni, un’infinità di commissioni e qualche Assemblea capitolina sul tema – la bonifica non è ancora stata realizzata. A metà giugno la giunta Gualtieri c’ha riprovato: un milione e 200mila euro per la bonifica. E la promessa della gara, a breve.
Non rimane che attendere. Ma la situazione non è limitata all’ex Canalone Mussolini. Ad aprile 2021 è stata individuata un’altra discarica con rifiuti pericolosi, nel vallone alle spalle degli autodemolitori, lungo viale Palmiro Togliatti. Una discarica costituita dai materiali utilizzati per costruire i rifugi degli abitanti del campo rom Casilino 900 abbattuto nel 2010 dall’amministrazione Alemanno. Materiali interrati e coperti con teli di plastica. “È bastato rimuovere il primo stato di terra per trovare scarti dell’edilizia, pannelli di legno e amianto, plastica, catrame e ferro”, ha raccontato Cristiana Trizzino del Pac libero che ha inviato una richiesta per verificare la presenza di rifiuti interrati e la possibile contaminazione del sito a Comune, Arpa, Città Metropolitana e Regione.
Anche dell’allargamento dell’area fruibile si parla da anni. Ai 33 ettari disponibili, se ne possono aggiungere ulteriori 18, affacciati su viale Togliatti. Si tratta dei lavori relativi al cosiddetto secondo stralcio. Per il quale sono disponibili 2 milioni di euro. La promessa è che, una volta terminata la progettazione di primo livello, si andrà a gara entro dicembre 2022. Intanto sono in fase di avvio due progetti, rispettivamente da 480mila e 68mila euro, che prevedono la sistemazione del parcheggio principale e del parco in generale, con anche la piantumazione di nuovi alberi. Senza tralasciare i precedenti. A novembre 2007 stanziati 3,3 milioni di euro, prima dell’approvazione da parte della Giunta comunale del progetto definitivo, ad aprile 2008. Il 30 luglio 2014 l’affidamento dei lavori, iniziati il 15 gennaio 2015. A giugno lo stop. Il motivo? La dichiarazione di fallimento della ditta aggiudicatrice.
Agli inizi di giugno l’assessora all’Ambiente Sabrina Alfonsi, ha dichiarato che “è stato richiesto ad Ama un intervento di rimozione di rifiuti illegalmente abbandonati accumulatisi negli ultimi anni, con l’obiettivo di rendere fruibile anche l’accesso da viale Palmiro Togliatti”. Che sia la volta buona?
Infine c’è la questione degli autodemolitori, che insistono ai margini del Parco, lungo viale Palmiro Togliatti. Circa 4 ettari occupati abusivamente. Peraltro trattando e smaltendo rifiuti classificati perlopiù come pericolosi. Finora ogni disposizione di delocalizzarli è fallita. Ininfluente, nel 1997, un accordo di programma fra Comune, ex Provincia e Regione che pianificava la realizzazione di cinque isole di bonifica, dove trasferire gli impianti. Inutile il decreto legislativo 209 del 24 giugno 2003 sollecitato da una direttiva comunitaria del 2000. Senza seguito, nel 2009, una delibera della giunta Alemanno che dava mandato al dipartimento Ambiente di completare la delocalizzazione di autodemolitori e rottamatori e di avviare a conclusione la fase istruttoria, tecnica e amministrativa, per l’individuazione di aree a norma. Non se ne è fatto nulla. Neppure durante la sindacatura Marino. A luglio 2018, dopo anni di autorizzazioni rilasciate con continue proroghe, l’amministrazione Raggi impone la chiusura immediata delle attività e quindi il trasferimento altrove. Al quale avrebbe dovuto provvedere il Comune entro il 2020, come indicato dalla legge di stabilità approvata in Regione nel 2018. Che il recente rogo abbia il potere di cambiare la storia del Parco? Almeno mezzo milione di romani se lo augura.