La fotografia inquietante scattata all’Italia dello sport dall’ultimo rapporto Coni-Istat, che certifica i danni provocati dalla pandemia solo nel 2020: si sono persi 1,7 milioni di tesserati e 5mila società. Siamo ormai fanalino di coda in tutta Europa
Un Paese sempre più vecchio e sempre meno sportivo. A cui la pandemia rischia di aver dato il colpo di grazia. È questa la fotografia inquietante scattata all’Italia dello sport dall’ultimo rapporto Coni–Istat, che racconta quanto il Covid abbia fatto male: soltanto nel 2020, si sono persi 1,7 milioni di tesserati e 5mila società. E due milioni di italiani hanno smesso di fare attività fisica.
La ricerca certifica ciò che tutti quelli che frequentano il martoriato mondo dello sport italiano già sapevano, per averlo visto con i propri occhi: negli ultimi due anni di pandemia tante squadre sono sparite, migliaia di associazioni hanno chiuso i battenti e chissà se li riapriranno mai, milioni di ragazzini sono stati chiusi in casa e magari non torneranno più sul campo, in pista o in piscina. Per la prima volta, però, viene quantificato con precisione il conto da pagare: secondo i dati Coni, nel 2019, cioè prima del virus, in Italia c’erano 14,8 milioni di tesserati; nel 2020, solo 13,1 milioni (ed è lecito aspettarsi che nel 2021 siano ancora meno). Se hanno retto i tecnici, che hanno potuto riciclarsi con le lezioni a distanza, sono letteralmente crollati gli arbitri per la cancellazione delle gare e delle competizioni. Il calo maggiore (-14%) è negli enti di promozione sportiva, cioè non fra gli agonisti ma nella pratica di base, e questo è ancora più preoccupante perché vuol dire che il virus si è insinuato nella società, cambiandone in peggio le abitudini.
Qui vengono in soccorso i numeri dell’Istat (che arrivano fino alla fine del 2021): a causa del Covid, gli italiani che praticano assiduamente attività sportiva sono calati dai 15,8 milioni del 2019 a 13,8 milioni. Significa che due milione di persone hanno smesso di fare sport, in un Paese in cui il calcio ovviamente resta per distacco lo sport nazionale, seguito da tennis, pallavolo, pallacanestro e atletica leggera. Siamo ormai fanalino di coda in tutta Europa: se i Paesi nordici come Svezia e Germania sono sopra il 50% della popolazione che pratica attività, e i cugini francesi e spagnoli toccano comunque il 30%, solo Grecia e Portogallo fanno peggio del nostro 23%.
Negli ultimi mesi tutti si sono soffermati sui danni più evidenti arrecati dal Covid, che sono quelli economici, confermati anche nel dossier Istat: 30mila posti di lavoro persi, da 132 mila agli attuali 104mila, trend in discesa anche rispetto al 2020 e al momento più duro della pandemia, a dimostrazione che gli strascichi si stanno ancora facendo sentire. La percentuale di famiglie italiane che ha sostenuto spese per attività sportive è diminuita dal 22 al 12%, uno dei tanti riverberi della crisi economica trasversale causata dal Covid. Ma forse il peggio deve ancora venire e c’è un dato che lo rivela.
Il calo maggiore nella pratica sportiva si è avuto fra i più piccoli, fra i 6 e i 14 anni, che hanno vissuto due anni della loro giovinezza a intermittenza, chiusi in casa per lunghi mesi: prima del Covid il 70% dei nostri bambini era abituato a praticare almeno una disciplina, ora soltanto il 55%. È un dato molto preoccupante perché questa è la fascia più preziosa per la piramide sportiva: gli adolescenti di oggi, i nati fra il 2008 e il 2010, sono i ragazzi che fra 3-4 anni formeranno il serbatoio per il ricambio delle nostre nazionali. E questo potrebbe avere delle ripercussioni negative soprattutto negli sport di squadra, come calcio, volley o basket, che già non godono di buona salute. Se a ciò sommiamo la più generale questione demografica (l’Italia continua a invecchiare: nel 2070 avremo 12 milioni di abitanti in meno, e negli ultimi 20 anni abbiamo perso 5 milioni di italiani fra 18 e i 35 anni, cioè in età da sportivo) si capisce come le prospettive siano sempre più cupe. Il presidente del Coni, Giovanni Malagò, è preoccupato: “Sono istanze importanti per il nostro mondo, che deve ottenere delle risposte da chi di competenza. È chiaro che se non succede qualcosa sarà impossibile ottenere quei risultati che ci hanno fatto diventare un modello da imitare”. Non solo per colpa del Covid.