L'INTERVISTA - Giuseppe Verde, ordinario di Diritto costituzionale all'università di Palermo: "Finora, come sappiamo, il governo non è mai stato sfiduciato: anzi, con il voto sul decreto Aiuti paradossalmente la fiducia è stata rinnovata". Ma se le dimissioni fossero confermate? "L'ordinaria amministrazione dovrebbe comprendere anche gli obiettivi del Pnrr. Per trattare sul gas o approvare aiuti alle famiglie, però, serve un mandato politico. Non si può giustificare tutto con la situazione eccezionale"
Mario Draghi andrà in Parlamento a confermare le dimissioni mercoledì 20 luglio, oppure potrebbe ripensarci? “Dal punto di vista istituzionale, se ha accettato l’invito del presidente Mattarella significa che lo spazio per andare avanti c’è“. Se invece si dimettesse, che poteri conserverebbe il governo? “Solo l’ordinaria amministrazione, che in questo momento dovrebbe comprendere il lavoro per gli obiettivi del Pnrr. Sulla gestione delle emergenze, come la crisi energetica o il carovita, la vedo più complicata”. Secondo Giuseppe Verde, professore ordinario di Diritto costituzionale all’Università di Palermo, o la crisi avrà una soluzione politica o il governo dimissionario sarà per natura “azzoppato” fino a nuove elezioni. L’ipotesi di un premier nella pienezza dei suoi poteri anche a Camere sciolte – se, per ipotesi, Mattarella respingesse ancora le dimissioni – non è in campo: “Non vedo la possibilità di sciogliere le Camere in assenza di un governo dimissionario”, dice al fattoquotidiano.it.
Professore, il presidente della Repubblica ha invitato il premier a rendere comunicazioni alle Camere e, di fatto, a verificare l’appoggio parlamentare di cui gode il governo. Tecnicamente come funziona?
Dal punto di vista formale, una conferma della fiducia a Draghi dovrebbe passare per il voto di un atto di indirizzo, un ordine del giorno o una risoluzione di maggioranza, che contenga un impegno chiaro al governo a proseguire nel suo mandato. Il nodo però è politico e si può sciogliere solo al di fuori dell’Aula: bisogna capire se si riesce in qualche modo a sciogliere l’impasse. Nella richiesta di Mattarella di “parlamentarizzare la crisi” c’è una grande attenzione al profilo istituzionale, perché finora, come sappiamo, il governo non è mai stato sfiduciato: anzi, con il voto sul decreto Aiuti paradossalmente la fiducia è stata rinnovata.
Anche mercoledì ci sarà un voto di fiducia?
No, almeno non formale. Però avrà un valore sostanziale equivalente: è chiaro che se un partito della maggioranza si sfilasse, com’è successo giovedì in Senato, sarebbe un problema.
Secondo la maggior parte delle previsioni, però, Draghi andrà in Aula semplicemente a confermare le dimissioni. In quel caso seguirebbe un voto?
No, la seduta si interromperebbe e il presidente del Consiglio salirebbe al Quirinale, dopodiché la palla passerebbe al capo dello Stato. Ma il fatto che Draghi abbia accettato l’invito a tornare in Parlamento indica che c’è uno spazio per ricostruire. In questo senso la scelta di Mattarella, oltre che la più corretta dal punto di vista costituzionale, è stata anche la più utile: tiene conto della natura politica della crisi e lascia cinque giorni di tempo prezioso, che potranno servire a sciogliere il nodo. Non a caso, anche nell’ipotesi di presentazione di una mozione di sfiducia al governo la Costituzione impone di discuterla non prima di tre giorni. Serve a incoraggiare la riflessione.
Se invece le dimissioni diventassero irrevocabili, che poteri conserverebbe il governo?
I poteri del governo dimissionario si considerano limitati alla cosiddetta “ordinaria amministrazione”. È una di quelle formule magiche i cui contorni sono sempre sfuggenti: in termini generici, possiamo dire che la realizzazione del programma politico si blocca. Ma la situazione attuale è un po’ particolare: c’è il Pnrr, con cui ci siamo assunti fino al 2026 una serie di obblighi nei confronti dell’Unione europea. Sono impegni che non possono essere messi da parte e condizioneranno anche la politica dei futuri governi che usciranno dalle elezioni. È un tema di cui si discute tra costituzionalisti, ma io penso che l’ordinaria amministrazione dovrebbe abbracciare anche il perseguimento degli obiettivi del Piano.
Che dire invece delle urgenze dovute alla guerra, come la crisi energetica o il caro-vita? Lunedì Draghi e il ministro degli Esteri Di Maio andranno in Algeria a contrattare gli approvvigionamenti di gas. Potrebbero farlo da dimissionari?
La questione qui è più complessa. Da un lato è chiaro che siamo in emergenza, e se non portiamo a casa certi risultati non superiamo l’inverno. Dall’altro, però, la politica estera ha bisogno di una legittimazione e di un indirizzo politico: l’idea che un governo dimissionario tratti con le autorità straniere è un po’ scivolosa. Un governo estero si potrebbe chiedere: “Ma con chi sto parlando, chi rappresenta?”. Quindi mi auguro che, se si presentasse la necessità, i partiti sappiano fare quadrato intorno alle scelte più importanti.
Si potrebbero approvare, invece, provvedimenti a sostegno di famiglie e imprese sulla scia del Aiuti?
È difficile. Se c’è la crisi del governo Draghi, se il governo Draghi si dimette, se la maggioranza si sfalda, come si fa poi a dire che però si fanno l’accordo per il gas, la lotta all’inflazione, la politica estera e altre venti o trenta cose? Sarebbe un governo fintamente dimissionario, sostanzialmente nella pienezza dei suoi poteri. Un governo dimissionario non può fare tutto, deve avere dei limiti. E non si può giustificare tutto con la situazione eccezionale.
Torniamo alle dimissioni. Una delle ipotesi che si fanno è che vengano respinte, ma allo stesso tempo le Camere vengano sciolte. In quel modo il governo conserverebbe pieni poteri fino al voto?
No, è un discorso che non riesco a seguire. Non vedo la possibilità di sciogliere le Camere senza un governo dimissionario. E a quel punto, come abbiamo detto, i poteri del governo si limitano all’ordinaria amministrazione, che comprende i provvedimenti necessari a guidare il Paese a nuove elezioni. Se non c’è più il Parlamento, non c’è più un rapporto di fiducia, fondamentale in una Repubblica parlamentare. Questo almeno è il mio punto di vista.