L’erosione delle coste e delle spiagge italiane è un fenomeno in avanzamento, sebbene contrastato in molte regioni con interventi di ripascimento periodici, costosi e sempre più delicati e strutture rigide realizzate decenni fa e poco funzionali al mutamento dei moti ondosi causato dalla maggiore frequenza di fenomeni intensi come mareggiate. “È necessario lavorare in ottica di comprensorio e smetterla di guardare alla gestione delle coste per singoli comuni se non addirittura singoli stabilimenti – spiega a ilFattoQuotidiano.it il geologo Carlo Civelli – le regole per riequilibrare le coste prevenendo danneggiamenti e ripristinando le spiagge da qualche anno ci sono, basterebbe rispettarle e smetterla di agire in deroga e in emergenza, come spesso accade”. Intervenendo in emergenza, rimarca Lorena Sablone dell’Osservatorio coste di Legambiente, succede che un singolo Comune interviene sulla parte di costa di sua pertinenza, spesso con strutture rigide come ‘pennelli’, che risolvono il problema in una piccola zona andando a incrementare l’erosione e i danni poco distante, perché il mare si deve comunque andare a sfogare da qualche parte”.
Per Andrea Lira Loarca, docente di Gestione delle coste della facoltà di Ingegneria di Genova, un altro fenomeno di cui tenere conto è come interventi saltuari e non risolutivi (quali i rinascimenti annuali), sono palliativi che guardano solo alla tutela degli aspetti balneari e turistici delle coste, ma non risolvono il grave rischio al quale gran parte delle infrastrutture lungo il mare, dalle strade costiere alle ferrovie e alcuni centri urbani sono esposti: “Tutte le barriere rigide hanno il problema di non rispondere al cambiamento del moto ondoso per le quali sono progettate, all’innalzamento del livello del mare – spiega – è necessario avvalersi di una progettazione di lungo termine e forse, in alcuni casi, iniziare a pensare a uno spostamento in aree più interne di tratte di strade costiere esposte a crolli se non adeguatamente protette”.