Era dal 2002 che non si vedeva la parità tra euro e dollaro, ma allora la moneta comune europea era ancora in fasce ed aveva bisogno di crescere per dimostrare cosa poteva fare. La parità venne “raggiunta”, “conquistata” non dimentichiamo che l’euro nasce con un tasso di cambio che ne denota la debolezza rispetto al dollaro, la debolezza di una nuova moneta. Ed infatti nell’ottobre del 2000 1 euro valeva 0,8255 dollari, la parità venne raggiunta soltanto nel luglio del 2002.
Oggi, invece, la parità arriva dopo un anno di declino durante il quale l’euro ha perso il 16 per cento del valore rispetto al dollaro. Che la moneta comune europea si sia indebolita molto meno rispetto alle altre monete dei partner commerciali europei (ha perso il 3,6 per cento) è irrilevante per un semplice motivo: l’euro aveva tutte le potenzialità di diventare la moneta di riferimento alternativa al dollaro. E vediamo perché: circola in un mercato composto da mezzo miliardo di persone; è usato negli scambi internazionali da chi vuole liberarsi dalla dipendenza del dollaro, ad esempio la vendita di petrolio iraniano da tempo avviene in euro; l’euro è anche la moneta dell’Unione europea, un’istituzione sovranazionale che da sempre aspira ad entrare nel circolo magico delle superpotenze.
Nonostante questi attributi, l’euro non ha convinto i mercati che di fronte alla crisi energetica ed alla guerra in Ucraina hanno scelto quale bene rifugio ancora una volta il grande dollaro.
E’ stato scritto che l’attuale debolezza dell’euro deriva dalla politica monetaria più aggressiva della Fed rispetto a quella della Bce, ma questo non è affatto vero. La Fed ha agito in ritardo, doveva alzare i tassi un anno fa ed invece ha aspettato lasciando così l’inflazione libera di crescere. Inflazione che negli Usa oggi è più alta che in Europa. Non esiste una giustificazione ‘scientifica’ ‘economica’ o ‘finanziaria’, un motivo tecnico che giustifichi l’indebolimento dell’euro, alla radice del declino della moneta unica ci sono due fattori: la politica e l’energia.
A livello politico l’Unione europea deve ancora nascere e dunque aspettarsi una strategia di lungo periodo è impossibile. Questa incertezza di fondo la rende poco sicura. Ma è anche vero che l’unione monetaria ha proiettato il vecchio mercato comune in una nuova dimensione geopolitica, ha creato un’entità unica, un mercato, di dimensioni maggiori di quello americano. A riprova l’apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro negli ultimi vent’anni. Questo mercato, chiamiamolo Eurolandia, aveva i numeri per diventare l’ago della bilancia nelle relazioni tra le due nuove super potenze: Usa e Cina. Eurolandia poteva far rinascere in chiave moderna il grande gioco, come lo descrisse Kipling, quando nel XIX secolo gli inglesi ed i russi si contendevano le risorse del centro Asia, poteva rilanciarlo a colpi di accordi commerciali a nostro favore. Eurolandia avrebbe potuto agire da broker tra Washington e Mosca nel campo energetico e trarre vantaggio da entrambi, uno scenario non fantapolitico qualora si fosse deciso di supportare l’unione monetaria con un esercito europeo.
Ed invece si è scelto l’ombrello della Nato. Ecco l’altra anomalia di Eurolandia che accanto all’assenza di integrazione politica ha abbracciato la dipendenza militare da una superpotenza straniera. Il vizio di fondo non è la mancata integrazione politica ma l’assenza di un sistema di difesa della sicurezza nazionale di Eurolandia, un vizio di forma che è balzato alla ribalta con la guerra in Ucraina.
Se gli europei avessero giocato bene le carte che avevano in mano vent’anni fa, oggi si parlerebbe del declino del dollaro sullo sfondo del sistema di difesa militare europeo. Se lo avessero fatto non ci sarebbe stata nessuna invasione dell’Ucraina che con molta probabilità sarebbe stata una nazione neutrale, neutralità garantita dai muscoli militari europei e russi. Tra gli assi nella manica che noi europei avevamo c’era l’avvicinamento progressivo della Russia a Bruxelles, il contenimento del regime Putiniano, per evitare che un governo ostile a Mosca chiudesse “i rubinetti del gas”. La dipendenza energetica di Eurolandia da Mosca andava smussata e trasformata attraverso accordi internazionali all’interno di un sistema di interdipendenze economiche, commerciali e finanziarie che impedisse ai due partner, Russia ed Eurolandia, di rescinderlo.
Angela Merkel lo sapeva bene e durante tutta la sua carriera ci lavorò sopra, con risultati non indifferenti. Ma la Merkel non rappresentava Eurolandia, era una voce fuori dal coro, e l’ingresso degli ex paesi dell’est europeo ha progressivamente fiaccato il suo sforzo, spostando la politica di Eurolandia lungo una traiettoria ostile a Mosca. A lavorare ai fianchi gli Stati Uniti, che dall’ingresso dell’euro sui mercati internazionali hanno fatto di tutto per evitare che la moneta europea rimpiazzasse la supremazia del dollaro. Oggi ci sono riusciti trascinando il vecchio continente in una guerra lungo i suoi confini, una guerra per procura, e recidendo le interdipendenze con la Russia.
Così facendo si sono piazzati in prima posizione nell’approvvigionamento energetico di Eurolandia. Il rafforzamento del dollaro è dunque anche legato alla posizione di esportatore netto di gas e petrolio che gli Stati Uniti si sono riconquistati negli ultimi dieci anni grazie al fracking. Primo mercato di sbocco: Eurolandia. In questo scenario il ruolo della finanza internazionale, quella dollarizzata, è minimo, questa volta non è colpa dei derivati o degli hedge funds, ma della pochezza della politica di Eurolandia. Ed infatti gli indici di borsa continuano a scendere.
Ci troviamo di fronte ad un cambiamento strutturale, che ha modificato radicalmente i flussi energetici e quelli monetari a loro collegati. Eurolandia acquista oggi petrolio e gas dagli Usa pagando con dollari che valgono il 16 per cento in più rispetto ad un anno fa. Non ha alternative, non può soddisfare il proprio fabbisogno in nessun altro modo. Così facendo importa inflazione dall’area del dollaro, inflazione che in autunno supererà i livelli statunitensi ed indebolirà l’euro ulteriormente. Qualunque sia il risultato finale della guerra in Ucraina, Eurolandia ha perso in pochi mesi gran parte dei vantaggi geopolitici che aveva quando l’euro fece il suo ingresso sui mercati internazionali. Tornare indietro non sarà facile, e forse è impossibile.
Il prezzo della protezione Nato è la sudditanza energetica dagli Stati Uniti, diversa da quella da Mosca, ma pur sempre sudditanza, l’indebolimento dell’euro ce lo conferma. Una verità che gli atlantisti che siedono in parlamento avrebbero dovuto conoscere, un prezzo altissimo che a molti di loro costerà la poltrona.