L’11 luglio sono stati pubblicati dall’Ufficio centrale di statistica del Ministero dell’interno i dati relativi agli sfratti del 2021. Si tratta di un monitoraggio annuale pubblicato dal Ministero dell’interno molto interessante e che fornisce spunti e approfondimenti.
Iniziamo dai dati. Nel 2021 le sentenze di sfratto sono state 38.163, in aumento rispetto al 2020 del 17,29%, le richieste di esecuzione con la forza pubblica sono state 33.208 con un aumento rispetto all’anno precedente del 45,39%, infine le esecuzioni di sfratto con forza pubblica sono state 9.537, in aumento rispetto al 2020 del 80,97%. Per quanto riguarda le motivazioni delle sentenze di sfratto, nel 2021, queste risultano le seguenti: 32.083 sono motivate da morosità incolpevole, di queste 15.965 nei comuni capoluogo e 16.118 nei comuni del resto dei comuni della provincia, dato ormai storico che nessuno tiene in conto, da decenni ormai gli sfratti nei comuni della provincia del capoluogo sono di più di quelli nei comuni capoluogo, segno che la morosità è una dato strutturale e nazionale che non investe solo le grandi aree urbane.
Le sentenze per finita locazione sono state 4.447, delle quali 2.215 nei comuni capoluogo e 2.262 nei comuni della provincia dei comuni capoluogo. Le sentenze di sfratto per necessità del locatore sono state nel 2021 1.603 e di queste ben 925 nel solo comune di Palermo e nella sua provincia. Anche questo è un dato storico che fa giustizia di una leggenda metropolitana sui proprietari che sfrattano per necessità: invece i dati ci dicono che nel solo 2021 le sentenze per necessità sono state 1600 circa su oltre 38 mila.
Gli aumenti maggiori rispetto al 2021 delle sentenze di sfratto a livello regionale si registrano in Molise con +78%, in Lombardia con +48%, in Toscana con +44%, in Campania con un più 34,63%. Da segnalare il -24,72% in Sardegna. Per quanto riguarda i comuni capoluogo i maggiori aumenti di sentenze emesse si segnalano a Novara +138,64%, a Bergamo +380,42%, a Firenze +155,56%, a Campobasso +100%, a Milano +95,19% e a Sassari +75%. A Roma a fronte di un +8,24% delle sentenze si segnala un +102,49% delle richieste di esecuzione e un +79,10 degli sfratti eseguiti.
Questi dati ci forniscono alcune chiavi di lettura. La prima è che dopo il 2020 si sta tornando alla “normalità”, ovvero aumentano anche se gradualmente le sentenze, aumentano le richieste di esecuzione di sfratti e gli sfratti eseguiti forzosamente. L’altro dato è che, nonostante il Covid e la fine dell’emergenza sanitaria, gli sfratti per morosità sono sempre rimasti intorno al 90% delle sentenze emesse. Un dato che ci dice, ormai da almeno vent’anni, che la questione del caro affitti e della povertà, in assenza di politiche abitative pubbliche e con scarse risorse destinate a contributi affitto, producono una sedimentazione della precarietà abitativa che non viene neanche scalfita dai sostegni miliardari – che il Governo ha dato per sostenere un social housing pubblico-privato – dove il pubblico si accolla gli oneri e i profitti vanno ai privati, ma che non incide sul disagio abitativo.
Questo perché il disagio abitativo si può affrontare in soli due modi: a) l’aumento consistente della dotazione di case popolari; b) una riduzione assai forte degli affitti privati; infatti con tutta evidenza questi con la loro liberalizzazione hanno prodotto solo un esercito di sfrattati per morosità. Intervenire sugli affitti riportandoli a una relazione sostenibile con i bassi redditi percepiti inciderebbe sulla massa degli sfratti, dovuti appunto a morosità.
Il primo a commentare i dati è Walter De Cesaris, segretario nazionale dell’Unione Inquilini, che ha denunciato come le risposte ancora latitano e il governo non sembra volersi mettere in sintonia con la sofferenza del Paese reale, non ascoltando il grido di protesta che sale contro l’aumento delle disuguaglianze. Senza queste risposte sarà un autunno caldo di lotta in tutto il Paese.
“Siamo di fronte – ha concluso De Cesaris – a un cocktail velenoso costituito da tre ingredienti micidiali: caro affitti, insostenibile per i redditi medio bassi; assenza di case popolari a canone sociale; aumento della povertà che colpisce particolarmente il settore dell’affitto su quasi due milioni di nuclei in povertà assoluta, circa 900 mila sono in affitto. Un cocktail micidiale che aumenta esponenzialmente il suo grado di tossicità a causa dell’aumento delle bollette e dei generi di prima necessità che pesano assai di più sui redditi bassi. Un cocktail che avvelena il ventre profondo delle aree urbane del nostro Paese, mettendone a rischio la coesione sociale, indifferentemente nelle grandi aree metropolitane come nelle restanti città.”