Vorrei ragionare su come si posizioneranno le varie opzioni elettorali rispetto ai limiti e ai costi dei consumi energetici, perché la transizione ecologica non può essere solo un trasloco alla pari dalle fonti fossili alle rinnovabili. Non ce la si fa, non è possibile: una diminuzione o almeno un contenimento dei consumi sono inevitabili.

I consumi energetici in Italia sono aumentati nei primi mesi dell’anno, sostanzialmente tornando ai livelli pre-Covid. Sono aumentati nonostante il caro-bollette e nonostante (ma questo era più ovvio e scontato) gli appelli a ridurre i profitti della Russia dopo l’inizio della invasione. All’interno di questo quadro generale di aumento, sembra però vedersi una diminuzione relativa dei consumi strettamente domestici. Secondo una ricerca pubblicata da Milena Gabanelli, essi sarebbero calati del 5% rispetti ai primi mesi del 2021.

Se ne deduce che ad essere aumentati sono quelli legati a industria, commercio e uffici, nonostante alcuni comparti dell’industria “superenergivori” abbiano dovuto ridurre la loro attività a causa delle bollette. Quanto del 5 per cento di riduzione dei consumi domestici è stato di origine virtuosa (meno sprechi, apparecchi più efficienti)? E quanto è invece ascrivibile alla cosiddetta povertà energetica? Non è dato saperlo. Ma quello che è evidente è che, a fronte della crisi con la Russia e a fronte della crisi climatica, i livelli di consumo di questi mesi sono difficilmente sostenibili.

Da un punto di vista economico la questione è assai complessa e rimanda agli interrogativi sui sovraprofitti da un lato, sui sostegni statali ai consumatori dall’altro. Ma non dovrebbero esserci dubbi sulla necessità di una riduzione complessiva o perlomeno di porre un freno ai consumi.

Nei giorni scorsi, prima della crisi di governo, era rimbalzata la (presunta?) bozza di un piano d’emergenza contenente alcune limitazioni. Riporto di seguito non la bozza, ma i punti citati via social da qualcuno che li ha vivacemente contestati, dando il via a un piccolo movimento di pre-protesta all’insegna di “non siamo disposti a pagare per le vostre colpe”.

I punti erano: temperatura massima a 19 gradi per il riscaldamento e minima a 26 per il raffrescamento, chiusura dei negozi alle 19 e dei locali alle 23, spegnimento di un lampione su due. Mi ha molto colpito constatare che a protestare, anzi a minacciare una sorta di gilet gialli italiani contro queste misure, siano persone di sinistra.

Proviamo a decodificare i vari punti: le temperature massime e minime per il riscaldamento e il raffrescamento sono state ormai citate in vari documenti ufficiali e sono ora oggetto di una raccomandazione Ue. Le chiusure dei negozi alle 19 e dei locali alle 23 appaiono altamente improbabili. Ma non tanti anni fa la vita era così, ad eccezione di qualche “night club”. Stesso discorso per “un lampione su due”: l’ipotesi non va presa alla lettera. Ma in ogni caso l’illuminazione pubblica è stata raddoppiata per intensità ed estensione negli ultimi venti/trent’anni. Si viveva decentemente con molta meno luce. (E oggi, come ieri, la metà dell’illuminazione pubblica è dedicata a luoghi e orari deserti, ma questo sarebbe un altro lungo discorso).

Nella protesta che leggevo – con mio stupore – si ripeteva che la ipotizzata austerità avrebbe un carattere di classe o capitalista. A me sembra il contrario: se lo Stato arrivasse a imporre dei limiti ad alcuni utilizzi, come quelli citati, e a farli rispettare, sarebbero limiti uguali per tutti, non è che chi può pagare si riscalda o raffresca di più. Si può e si deve discutere su quali risparmi di energia imporre per legge (e quali inevitabilmente restano affidati ai prezzi), ma come si fa a negare che sia necessario frenare, o come si fa a pensare che ci si possa affidare solo alla libera eventuale buona predisposizione individuale al risparmio energetico, senza prevedere o tasse ecologiche o limiti di utilizzo (e di orario) o ambedue.

Uno strano e confuso liberismo di fatto sembra nascondersi dietro parole di sinistra. La differenza tra una sinistra verde con mentalità e capacità di governo e una sinistra di opposizione in questo caso qual è? Nella libertà di riscaldarsi quanto si vuole? (“Perché non sia mai che qualcuno mi impone dall’alto quanto mi posso riscaldare…”).

La rivolta dei gilet gialli fu trasversale di sinistra e destra, partendo dalla opposizione alle imposte sui carburanti: tema complesso. Nel caso in questione non c’erano e non ci sono tasse sul macinato né sulle emissioni, ma temperature ed orari. In un’epoca in cui i punti di vista sono inevitabilmente confusi e contradditori sono possibili però alcuni punti fermi minimi. Un minimo scientifico: nessuno è mai morto di caldo o di freddo perché c’erano limiti di legge alle temperature. Succede il contrario: che non vengano rispettati e neanche si provi a farli rispettare. E nessuno ha mai avuto problemi di denutrizione perché i negozi chiudevano troppo presto. La campagna elettorale non sarà il periodo migliore per affermare principi di sobrietà, ma almeno teniamo d’occhio e cerchiamo di riconoscere gli atteggiamenti più retrivi.

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