di Carlo Schettino

Il presidente del Consiglio ha dato le dimissioni, sulle pagine dei giornaloni e ovunque sui social imperversa il pianto strappalacrime di decine di “pennivendoli” che invocano il ripensamento di Mario Draghi e la fine della legislatura per terminare i suoi essenziali compiti e “preparare” elezioni ordinate e democratiche. Ma guardando con attenzione quello che è successo, credo che Draghi ha agito pro-domo sua e non per il paese. Vediamo perché:

1) Maggioranza. Il governo avrebbe la maggioranza anche senza M5s eppure ritiene, per una esigenza “istituzionale”, di dimettersi rispettando il popolo elettore. La verità è più probabilmente che le nubi all’orizzonte siano foriere di cattivi auspici per il “migliore”. Le riforme al fine del ricevimento delle tranches dei finanziamenti potrebbero non essere ultimate in tempo e non arriverebbero i fondi. Così, il perfetto capro espiatorio (Giuseppe Conte) costruito a tavolino in questi mesi (quando allo scaltro Draghi era già chiaro lo scenario), regalerà la possibilità di distruggere il Movimento e lui sarà la vittima della loro ennesima incompetenza politica.

2) Sostegno establishment. Draghi cerca quindi una via di fuga onorevole (per lui). Ma i suoi sostenitori sono attentissimi ai soldi che devono arrivare dal Pnrr. Le imprese italiane (ma anche la criminalità) vogliono quei soldi per fare quello che sanno fare senza investire un euro, sfruttare a ribasso e lucrare al massimo senza controlli. I giornaloni spingono chiaramente l’opinione pubblica sul percorso del Draghi bis per assicurarsi il malloppo.

3) Transizione e cambiamento sociale. L’establishment ha paura della transizione e del cambiamento (questo in ogni periodo storico) ma in particolare in questo caso. Il problema è occidentale. Aumentano i poveri, diminuiscono i salari, non ci sono contratti e garanzie per i lavoratori (in Italia più che altrove) e aumentano le tasse per via della svolta bellicistica dell’Occidente. In tutto l’Occidente si parla quindi di impatto sociale, la disuguaglianza è sempre più un problema di classi: fa ritornare ai concetti di tipo marxiani (economicamente parlando), nascosti da anni di “narrazione” sull’autoregolazione dei liberi mercati, sull’efficienza delle imprese private e del capitalismo “buono”. Draghi sa benissimo che stiamo per andare a finire in un cul de sac a causa della conflittualità sociale che sta maturando per via dello scontento e non vuole trovarsi li a gestirlo.

4) E veniamo all’ultimo problema del presidente, lo scenario internazionale, che gli sta molto a cuore perché può trarne grande giovamento. La scelta interventista, a cui ha costretto il paese senza alcun sostegno legale (l’Ucraina non è un paese della Nato), senza alcuna prospettiva realmente utile (la Russia ha tratto più benefici interni ed esterni di quanti danni hanno presunto di causargli), e senza una via d’uscita una volta entrati per via della rinuncia al ruolo di mediatori inizia a generare seri problemi. Spostare il baricentro della dipendenza energetica verso il Nord Africa e Medio Oriente, mediare con il “dittatore” Erdogan, si riverbererà contro di lui per via degli sviluppi a cui stiamo andando incontro, perché imprevedibili dopo esserci avventurati un una guerra senza essere preparati (es. Algeria che sta già rivedendo a rialzo i prezzi appena concordati, in nome del mercato…), vi ricorda qualcosa?

Insomma Draghi ha scelto il momento giusto per uscire di scena e ha agito pianificando tutto al millesimo (telefonate a Beppe Grillo, mancate risposte, finta considerazione) ben consigliato, deresponsabilizzandosi completamente agli occhi dell’opinione pubblica e creando le basi di un suo ricollocamento. Assolto senza giudizio, il delitto perfetto è servito alla faccia della responsabilità e dei “migliori”.

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