di Barbara Pettirossi
Fanno più paura i ricchi o i poveri arrabbiati? In questa calda estate di guerra sembra che i poveri siano intenti a sbarcare il lunario e a fare provviste con le briciole che cadono dal tavolo di quelli che ce l’hanno fatta. Questi commensali sono senz’altro dei geni, che il caso forse ha voluto si trovassero al posto giusto nel momento giusto. Ora, i veri arrabbiati sembrano loro e il capro espiatorio scelto è il M5s. Un movimento nato per collegare il mondo reale con la politica – sacrilegio! – che a oggi non si sa ancora che fine farà, perché ha osato sfidare gli dei dell’Olimpo ma si sta spaventando del proprio coraggio. I poveri continueranno a districarsi per sopravvivere e, finché verrà mantenuta una soglia di indigenza sopportabile, gli arrabbiati potranno continuare a essere loro, i ricchi. Questo è il segreto del controllo, non superare la soglia di sopportazione. Finché sono impegnato a guadagnarmi la pagnotta, sia pure rinsecchita, non ho tempo per fermarmi e osservare.
Gli italiani in questo momento, invece, dovrebbero puntare lo sguardo su ciò che sta accadendo ai piani alti nei confronti del M5s, non come partito politico in sé ma come fenomeno sociale. Il “Vaffa” di Beppe Grillo, che ora sembra aver indossato le vesti del trickster, di chi di tanto in tanto si diverte a creare confusione anche all’interno di casa sua, servì da rito catartico: far esplodere la rabbia nell’energia di una parola. Servì a raggiungere quelli che non sapevano più come esprimere il loro dissenso ma che non erano interessati a vecchie ideologie sovraniste e populiste.
Poi il programma del Movimento è entrato in Parlamento e si è barcamenato più o meno efficacemente fino alla pandemia, evento inatteso che ha preso alla sprovvista anche i politici più navigati. Che fossero pure loro disorientati dall’invisibile virus è testimoniato dalle altalenanti posizioni rispetto a chiusure e riaperture, mascherine sì mascherine no. Questa volta il caso ha voluto che fosse un professore-avvocato dal curriculum dignitoso, ma non straordinario come quello di Mario Draghi, a dover gestire l’emergenza. E il caso – o l’effettiva capacità di mediazione, fate voi – ha voluto che fosse riuscito a ottenere dall’Europa più di quanto ci si aspettasse.
Ora, chi dice che quei soldi ce li hanno dati perché la figura di Draghi era comunque presente nello spirito, anche se assente nel corpo, implicitamente sta ammettendo che oltre alla partita pubblica, all’epoca, se ne stava giocando anche un’altra sotterranea. Ma qui ci spingiamo nel territorio del complottismo, fermo restando che il sospetto in Italia non sia proprio fondato sul nulla. Sembra che quei soldi non potessero essere gestiti da uomini privi di titoli nobiliari i cui interessi erano vicini alle persone comuni.
Che Giuseppe Conte non abbia nessuno alle spalle mi sembra evidente: se avesse qualcuno non ci sarebbe un accanimento così subdolo per smontare pezzo per pezzo la sua persona. Se al contrario ce l’ha, non lo sta aiutando. Non avendo trovato scheletri nell’armadio, si sono messe in fila una serie di azioni che hanno indebolito il M5s e la sua leadership: dalla riforma Cartabia, al reddito di cittadinanza, passando per l’inceneritore, fino ad arrivare all’ultima pantomima di Draghi, per cui sembra indispensabile la presenza del M5s per governare, contraddetta dalla fiducia che ha comunque ottenuto nonostante i grillini.
Ebbene, fosse solo per questo accanimento, per questa rabbia dei ricchi di fronte all’ipotesi che i nove punti di Conte riescano davvero a portare l’asticella della sopportazione dei poveri al livello superiore della dignità, ciascuno di noi grillino o non grillino, simpatizzante o critico spietato, dovrebbe prendere appunti e memorizzare il fenomeno politico e sociale che si sta evidenziando in Parlamento. Deve farci riflettere, inoltre, che oggi si torni a parlare di ricchi e poveri. Ma la verità è che queste categorie non hanno mai smesso di esistere, nonostante i migliori.