Sembra impossibile ma è così. Lo Stato torna in possesso delle autostrade che ha costruito a spese sue pagandole più di quanto le aveva pagate costruendole. Aspi è stata rilevata a ben 9,2 milioni al km mentre l’autostrada dei Parchi verrà a costare 5,8 milioni a km.
La tristissima vicenda del ponte Morandi si è risolta con una ricostruzione dal costo di oltre 200 milioni (lavori affidati senza gara, due – e non tre – corsie, velocità massima 70km/h) e con la rocambolesca cessione della concessione di Aspi dai Benetton a un gruppo controllato dallo Stato (CdP 51%) e partecipato da due fondi d’investimento stranieri al 49% per la stratosferica somma di 9,5 miliardi di euro. I 2.900 km di rete autostradale, pagati negli anni dallo Stato, sono stati ricomprati dallo stesso Stato al costo di 9,2 milioni al chilometro: una bella somma, tanto da far pensare a molti che i Benetton avrebbero dovuto piuttosto essere costretti a rimanere e a rimediare a tutti gli errori fatti senza nuova spesa pubblica.
Nonostante tutto questo, ci risiamo. Continua la via crucis degli indennizzi pubblici iniziati con i Benetton. Il concessionario della A24 e della A25 (il gruppo Toto attraverso la società Strada dei Parchi) ha chiesto di restituire la concessione e il ministero dei Trasporti ha provveduto per la revoca trasferendo armi e bagagli all’Anas.
Lo Stato non dispone ancora di una riforma dei meccanismi concessionari che consenta di avviare una regolazione pubblica e che al tempo stesso tuteli la sicurezza stradale e gli utenti, e remuneri eventuali capitali investiti dai concessionari. Nonostante questo prosegue navigando a vista e, attraverso il ministero competente (il MISE), con un decreto legge ha accettato e reso operativa la cessione di Strada dei Parchi.
L’improvvida decisione governativa ha portato a un contezioso legale. Il provvedimento di revoca è stato infatti sospeso dal Tar del Lazio a cui si era appellato il Gruppo Toto. Lo stesso gruppo che aveva chiesto la revoca della concessione e un indennizzo di 2,4 miliardi allo Stato, per un costo di 5,8 milioni al km (281 in tutto). Il diverso ammontare degli indennizzi per km di rete deriva dal fatto che Aspi aveva una concessione più lunga di otto anni, in scadenza nel 2038 (mentre quella di SdP termina nel 2030).
La revoca della concessione è stata definita dal ministro Patuanelli “un provvedimento storico”. Con una scadenza della concessione al 2030 e la necessità di un piano d’investimento per dare attuazione alla legge del 2012 che impone l’adeguamento antisismico dell’intera autostrada, tuttavia, viste le continue dilazioni da parte pubblica (ben due commissari straordinari per il Pef e altrettanti per i lavori, senza concludere nulla), l’unica possibilità per lo Stato era uscirsene per non rimetterci l’osso del collo.
Di qui la richiesta di rescissione contrattuale, con un indennizzo che sicuramente ci sarà e che Toto vuole portare a casa prima del subentro di Anas.
Il castello di norme costruito negli anni passati dal ministero dei Trasporti ora viene impugnato come una clava dal gruppo Toto, che si rifarà a prescrizioni dettate senza una logica e regolarmente non rispettate ma che ora pesano nella determinazione dell’indennizzo. Un’operazione molto più complessa di quanto scritto nel decreto e che andava fatta tenendo conto di vari fattori: il recupero degli investimenti effettuati e non ammortizzati, i costi sostenuti che vanno riconosciuti, i mancati adeguamenti tariffari dovuti a norma di convenzione, il lucro cessante fino allo scadere della concessione.
Ecco perché c’è da aspettarsi che quando a settembre il Tar del Lazio entrerà nel merito della sospensiva ora accordata a Toto, non sarà che la ripresa di una battaglia Stato-concessionaria. Lo Stato, dopo aver fallito come imprenditore, ha fallito pure come regolatore, mostrando la propria inaffidabilità come contraente dei patti contenuti nei piani finanziari della convenzioni, facendoseli “dettare” dal punto di vista degli interessi delle imprese piuttosto che tutelare quelli di utenti, amministrazione pubblica, ambiente e sviluppo.
Improbabile che questi nodi non vengano al pettine con ulteriori esborsi di denaro pubblico. Un conto è la revoca per inadempimenti del concessionario, che attribuisce a questo una patente di inaffidabilità, altra è la rescissione del contratto per impossibilità a fare il concessionario. Oltre ai costi pubblici dell’indennizzo manca la capacità di valutazione degli atti e degli impegni presi tra le parti, che ancora una volta da parte governativa e ministeriale non c’è stata. Anzi ci sono le premesse per far male anche sulle rimanenti tratte autostradali che andranno a fine concessione.