Mafie

“Borsellino? Non c’era volontà di proteggerlo”. Via d’Amelio, parla l’unico sopravvissuto alla strage: “Una sfiammata, poi ho visto il buio”

La strage di via d’Amelio raccontata dall’unico sopravvissuto. E direttamente sul luogo dove trent’anni fa venivano assassinati Paolo Borsellino e i cinque agenti di scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. L’unico a rimanere vivo il 19 luglio del 1992 è Antonio Vullo, che all’epoca era solo un giovane poliziotto e adesso è in pensione. In Mattanza, il podcast sulle stragi del ’92 prodotto dal Fatto Quotidiano, è proprio Vullo che racconta tutte le fasi dell’attentato di via d’Amelio. Per intervistarlo abbiamo deciso d’incontrarlo a Palermo, nella stessa strada in cui esattamente 30 anni fa ha visto morire i suoi colleghi. Quella strage, secondo il poliziotto, era praticamente annunciata. “Non c’è stata sicuramente la volontà di proteggere Borsellino“, dice Vullo, che aveva deciso di entrare a far parte della scorta del magistrato dopo la strage di Capaci: conosceva bene Vito Schifani, uno degli agenti morti con Giovanni Falcone, e voleva dare una mano.

“Io – ricorda l’agente sopravvissuto – sono entrato all’ufficio scorte la settimana dopo la strage di Capaci: tutti sapevano che dopo Falcone la persona da colpire era Borsellino. Per questo pensavamo che per colpire Borsellino si sarebbero dovuti inventare qualcosa di molto più eclatante rispetto a Capaci”.E invece, dopo aver preso servizio nella scorta di Borsellino, Vullo e gli altri agenti hanno una brutta sopresa. “Pensavamo di entrare in un bunker e invece quando abbiamo preso in consegna il giudice Borsellino abbiamo scoperto che non c’era neanche la sorveglianza fissa sotto casa sua. Già lì ci ha fatto pensare tantissimo: non ci aspettavamo che venisse lasciato così scoperto. Da quel giorno abbiamo cominciato a fare relazioni, a segnalare che all’interno del cortile, dello stabile, dell’ascensore nel palazzo poteva succedere di tutto. Sicuramente non c’è stata la volontà di proteggerlo”.

E infatti in via d’Amelio, dove abitava la madre di Borsellino e dove il giudice andava almeno una volta alla settimana, nessuno aveva mai messo un divieto di sosta. Quindi, quando domenica 19 luglio, arriva il corteo di scorta di Borsellino, Vullo ha un sussulto: “Quando sono giunto proprio all’inizio di via d’Amelio e ho visto tutte queste auto parcheggiate, anche Claudio che era in auto con me, ha avuto un’esclamazione tipica nostra siciliana, di paura”, ricorda l’agente. “Io – continua – ero nella macchina di testa con la mia squadra: Claudio Traina e Vincenzo Li Muli. Al centro c’era la macchina di Borsellino e dietro l’auto con Catalano, Cosina ed Emanuela Loi. Ho visto che il giudice era sceso dalla sua auto e subito dopo è stato raggiunto da Emanuela Loi e Agostino Catalano. Stava pigiando il citofono esterno, stava per accendere la sigaretta, gliel’ha fatta accendere Agostino Catalano. Borselino non aveva nulla in mano, assolutamente”, prosegue Vullo. Che a quel punto torna in auto per fare inversione e farsi trovare pronto per ripartire. “A un certo punto sento un soffio così enorme all’interno dell’abitacolo, l’auto si è sollevata e stava prendendo subito fuoco. Ho sentito una sfiammata, ma violenta: una compressione simile a quando uno schiaccia un palloncino e poi lo lascia…ancora oggi questa sensazione purtroppo la sento, perché è una cosa veramente che ti lascia il segno”.

Subito dopo l’esplosione Vullo esce dall’auto. “Sono riuscito a uscire dall’abitacolo che stava prendendo subito fuoco. E quando sono sceso dall’auto mi sono reso conto di quello che è successo”. Via d’Amelio si è trasformata in un inferno. “Cercavo i colleghi era tutto buio, fumo intenso, incominciavano a esplodere forse auto, i colpi anche nostri, i colpi delle armi in dotazione. Mi sono accorto di essere fermo sopra un piede mozzato di un collega, ho visto altri brandelli di carne, ho visto il corpo di un collega davanti l’auto. Ho visto questa immagine e poi mi sono trovato in ospedale”.