Non sorprendentemente la Procura di Perugia ha chiesto l’archiviazione del procedimento sulla presunta loggia Ungheria. Per questo motivo, torno su un argomento già affrontato poco tempo fa. Interessa qui mettere a giorno il lettore di quello specifico passaggio del comunicato stampa firmato da Cantone che evidenzia il mancato accertamento, nel corso delle indagini, dell’attività di “interferenza sui pubblici poteri” da parte del sodalizio ipotizzato. Anzi, il condizionamento su alcune nomine di vertice della magistratura c’è stato (o è stato tentato), ma si tratterebbe di “risultati ascrivibili ad interessi personali o professionali diretti” di alcuni indagati. Amen.

Insomma ritorna ancora una volta la questione della inadeguatezza della legge Spadolini e in particolare della infelice formulazione del reato, che circoscrive la rilevanza penale alle sole associazioni segrete che “svolgono attività diretta ad interferire sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale”. Pure l’inchiesta della Procura di Palmi del 1992 naufragò (anche) perché gli inquirenti non riuscirono a individuare le “interferenze”. Nel decreto di archiviazione del Gip di Roma, Augusta Iannini, leggiamo: “All’eccezionale ampiezza del raggio delle indagini […] non ha corrisposto una altrettanto ampia localizzazione delle investigazioni in direzione delle specifiche attività di interferenza in ambiti istituzionali ricollegabili alle realtà organizzative individuate”.

La legge n. 17 del 1982 – lo ribadisco ancora una volta – ha introdotto quarant’anni fa una norma di attuazione soltanto parziale del dettato costituzionale – l’art. 18 della Costituzione proibisce invece “la segretezza in quanto tale” – inserendo un elemento molto vago come l’”interferenza su organi pubblici o costituzionali”, che è di difficile interpretazione e certamente in contrasto col principio di tassatività (o determinatezza) del diritto penale. Oltre all’evanescenza della formula, contribuisce ad azzerare le chance probatorie un trattamento sanzionatorio decisamente blando rispetto alla gravità del reato (fino a due anni per i semplici affiliati e da uno a cinque anni per i capi), che si pone in contraddizione con il principio di proporzionalità della pena e soprattutto non consente il ricorso alle indispensabili intercettazioni telefoniche e ambientali.

La previsione di un “reato di pericolo” che colpisca l’associazionismo segreto in sé appare corretta. In democrazia, il potere deve essere visibile. Le decisioni si prendono, per dirla con Norberto Bobbio, “sotto il controllo della pubblica opinione”. L’esistenza di poteri occulti va perciò considerata inaccettabile. Non dobbiamo consentire che essi si sostituiscano ai partiti e ai legittimi luoghi deliberativi. Non possiamo permettere che governino “senza essere al governo”, come disse lo stesso Gelli. Le scelte politiche si fanno in Parlamento e nei palazzi delle istituzioni, non altrove. In un regime democratico, che naturalmente riconosce pienamente la libertà di parola e di associazione, chi si associa in segreto lo fa solo per delinquere o, nella migliore delle ipotesi, per raggiungere obiettivi incompatibili col bene comune. Nei centri di potere occulto si annidano infatti fisiologicamente gli interessi più loschi. Perciò non è ammissibile alcuna tutela della segretezza.

Questo concetto fu già espresso da Giuseppe Mazzini nello scritto I doveri dell’uomo del 1860: “L’associazione deve essere pubblica. Le associazioni segrete, armi di guerra legittima dove non è Patria né Libertà, sono illegali e possono essere sciolte dalla Nazione, quando la Libertà è diritto riconosciuto, quando la Patria protegge lo sviluppo e l’inviolabilità del pensiero. Se l’associazione deve schiudere la via al Progresso, essa dev’essere sottomessa all’esame e al giudizio di tutti”.

Quindi, se abbiamo a cuore la trasparenza come valore fondante del nostro ordinamento, se riteniamo necessaria una sanzione penale contro tutte le società segrete, se pensiamo che nella nostra società non debbano esserci “santuari” impermeabili alle indagini, è auspicabile a questo punto una riforma costituzionalmente orientata della Legge Spadolini, che la renda finalmente efficace e attribuisca sufficiente deterrenza a un reato che oggi risulta pressoché inutile.

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