Di recente a Bologna c’è stata la manifestazione di Rivolta Pride: l’unica completamente auto organizzata da realtà non istituzionali e autofinanziata grazie a un lungo percorso antecedente di iniziative ed eventi, che ha visto la partecipazione di almeno 50mila persone. Rivolta Pride è una rete di attiviste e attivisti che si è costituita nel 2021, costruendo un’alleanza tra soggettività e soggetti politici diversi, a partire dal dibattitto parlamentare sul ddl Zan, dal suo affossamento e dalla campagna #moltopiùdizan, che ha sottolineato quanto un provvedimento non possa bastare per rispondere a problemi di violenza misogina, di omolesbobitransfobia, di razzismo, di abilismo, che sono strutturali e radicati nella società tutta. Ilfattoquotidiano.it ne ha parlato con il collettivo transfemminista queer Laboratorio Smaschieramenti, parte attiva del Rivolta Pride, che ha sottolineato il “bisogno collettivo di cambiare modalità di concertazione e negoziazione delle politiche che ci riguardano, perché in Italia, da decenni non veniamo interpellate”.
La rete di Rivolta Pride, così come Smaschieramenti, fa parte degli Stati Genderali: si tratta di assemblee pubbliche e allargate che cercano di tenere insieme attiviste, attivisti, associazioni e collettivi per costruire dal basso una nuova cultura diffusa e delle vere e proprie strategie politiche, con l’obiettivo di produrre dei cambiamenti reali. I primi incontri sono stati a Bologna e Roma, il più recente a Palermo e prossimamente Torino. Durante queste assemblee vengono organizzate discussioni tematiche e i tavoli principali, almeno fino all’incontro di Roma, sono stati: lavoro, migrazioni, identità di genere, violenza e percorsi di fuoriuscita, educazione e formazione, disabilità e neurodivergenze, HIV e IST (infezioni sessualmente trasmesse), famiglie e “sfamiglie”, comunicazione.
Fin dai primi incontri, come ha raccontato a ilfattoquotidiano.it il collettivo Laboratorio Smachieramenti, sono state identificate tante e chiare rivendicazioni politiche. È stata sottolineata la necessità di superare le discriminazioni sul lavoro e l’idea di una separazione tra diritto sociale e civile, perché “noi siamo su tutti i posti di lavoro e le discriminazioni sul lavoro passano anche da un non riconoscimento sul piano civile”. In particolare, si enfatizza la necessità di tutelare il lavoro sessuale quando scelto, contrastando invece la tratta, senza ricorrere a “proposte di criminalizzazione, come il recente progetto di legge Maiorino, che manterrebbe le persone che lavorano in uno stato di vulnerabilità, lasciandole invisibili e non tutelate”. Attiviste e attivisti chiedono che venga messo al bando “l’intervento chirurgico su bambine e bambini intersessuali” e “una nuova legge sull’autodeterminazione di genere che permetta a persone trans e non binarie di accedere ai percorsi di affermazione di genere in maniera accessibile, gratuita e senza essere patologizzate”.
Chiedono anche “la riforma della legge 104 sulle disabilità, con il riconoscimento anche per l’inserimento lavorativo e pensionistico, di condizioni a ora non riconosciute, come l’ADHD, ma anche come la vulvodinia e la fibromialgia, spesso considerate malattie di genere e quindi ignorate”. Sottolineano poi la forte necessità di assumere come obiettivo centrale il benessere complessivo della salute sessuale, in cui inserire HIV e IST, superando la persistenza dello stigma. Importante è la lotta per il matrimonio egualitario, considerato come obiettivo minimo, da affiancare all’accesso alla GPA (gestazione per altri) e alle tecniche di riproduzione assistita, così come all’adozione, senza dipendere dalle scelte arbitrarie e frammentate delle amministrazioni locali. Un altro passaggio fondamentale è quello sulla comunicazione: “Vogliamo formulare strategie per ovviare al grosso problema della narrazione delle nostre vite nei media perché ci troviamo sotto una lente pietistica o violenta”, mentre “nelle scuole mancano corsi di educazione alla sessualità, all’affettività e al consenso” e “non ci sono centri antiviolenza per persone LGBTQIAP+ e manca completamente una riflessione su una loro possibile creazione e gestione da parte delle stesse soggettività della comunità, che avrebbero più risorse per affrontare i percorsi di fuoriuscita.
In generale emerge la volontà di portare avanti queste rivendicazioni contemporaneamente, in modo intrecciato, per combattere forme di oppressione che sono sistemiche e si autoalimentano e influenzano a vicenda, nello spazio pubblico e nelle vite private e personali. La sfera privata e quella pubblica, infatti, non sono separabili e ce lo ricorda anche la frase con cui è stato lanciato il Rivolta pride, la Rivolta è desiderio. È proprio il desiderio a consentire “ di tenere insieme la realtà materiale dei nostri corpi e una dimensione utopica, che ci spinge a guardare avanti, verso una complessiva trasformazione sociale”. “La dimensione politica del desiderio confuta la radicata divisone tra pubblico e privato che noi, con i nostri corpi, vogliamo spazzare via”.