Secondo la pg: "Non c'è prova di un accordo corruttivo, né prova del pagamento di utilità corruttive". La Corte d'appello ha preso atto e ha assolto in via definitiva tutti gli imputati dall'accusa di corruzione internazionale
La procura di Milano aveva impugnato, ma la procura generale con una decisione che non potrà non destare clamore rinuncia al ricorso. E così la sentenza di primo grado per il processo Eni-Nigeria/Shell – verdetto che aveva innescato una polemica negli uffici giudiziari di Milano – diventano definitive. Le motivazioni del sostituto procuratore generale di Milano, Celestina Gravina, sono nettissime: La “mancanza di qualsiasi nuovo elemento per sostenere l’accusa“, un ricorso che non ha la forza “per un eventuale ribaltamento del principio dell’oltre ragionevole dubbio”, profili “incongrui e insufficienti” che restituiscono “diverse ricostruzioni possibili che sono lo specchio dell’assenza di fatti certi posti alla base della accusa e non di un accordo costruttivo che non si indica un alcun modo”. Un attacco contro il lavoro della procura che non ha precedenti recenti.
Gravina ha parlato di “vicende buttate lì come una insinuazione”, della “esilità e assoluta insignificanza degli elementi” portati dalla Procura per sostenere l’accusa di corruzione internazionale, ma anche di “colonialismo della morale” da parte “del pm”. “In questo processo – ha spiegato il magistrato che avrebbe dovuto sostenere l’accusa – non c’è prova di un accordo corruttivo, né prova del pagamento di utilità corruttive“. Un atteggiamento “neocolonialista”, secondo il pg, lo ha avuto “il pm”, ossia De Pasquale, perché come “le potenze neocoloniali tracciavano i confini senza sapere cosa c’era sotto” ha “imposto” la propria linea, volendo scegliere “al posto di organi democraticamente eletti”. Atteggiamento neocolonialista “di cui sono state accusate le due società” che invece “hanno fatto la ricchezza della Nigeria” anche con “tributi di sangue”. “Il pm – ha detto ancora il Pg – ha una idea vaga e per questo ha chiesto la confisca” di oltre 1 miliardo di dollari, ossia l’importo complessivo versato dalle due società per acquisire i diritti di esplorazione sul giacimento petrolifero Opl245. E ciò perché “non riesce ad individuare” le presunte tangenti versate e “ripara sul fatto che questa operazione non doveva farsi”. Il pm, secondo Gravina, ha portato solo “chiacchiere e opinioni generiche che toccano i governanti degli ultimi 10 anni in Nigeria”.
Il ricorso era stato preparato dall’aggiunto Fabio De Pasquale – nei confronti dei 15 imputati, 13 persone e le società Eni e Shell, accusati di corruzione internazionale nel processo sulla presunta tangente da 1,092 miliardi di dollari che sarebbe stata versata dai due gruppi per aggiudicarsi la concessione da parte del governo della Nigeria dei diritti di esplorazione sul blocco Opl245. Imputati tutti assolti in primo grado perché il fatto non sussiste. Per i magistrati del Tribunale, presieduti da Marco Tremolada, l’assoluzione era motivata dalla mancanza di “prove certe sulla corruzione”. Ma non solo: da procura sarebbe arrivata un richiesta irrituale su Piero Amara, ex legale esterno dell’Eni, plurindagato e autore di quei verbali che sono stati l’innesco di un terremoto in Procura. La presunta loggia Ungheria – di cui aveva parlato elencando una serie di nomi eccellenti tra cui anche quello del presidente del collegio di Eni – però non esiste secondo la procura di Perugia che ha chiesto l’archiviazione nei giorni scorsi.
La procura aveva impugnato il ricorso – mentre scoppiava il caso dei verbali di Amara consegnati dal pm di Milano Paolo Storari all’ex consigliere del Cms Piercamillo Davigo ora sotto processo per rivelazione di segreto d’ufficio – secondo De Pasquale le motivazioni di giudici di primo grado erano “esili e illogiche” e sottolineando una svalutazione delle prove. La rinuncia all’impugnazione che aveva presentato la Procura è stata comunicata in aula dal pg all’apertura di udienza. Ciò comporta la conferma dell’assoluzione di primo grado per i 15 imputati che diventa definitiva. Si va avanti solo per gli interessi civili, ossia l’eventuale risarcimento alla Repubblica Federale della Nigeria. Sulla sua scelta ha pesato anche la sentenza assolutoria passata in giudicato di Obi Emeka e Gianluca Di Nardo, ritenuti dal pm i mediatori della presunta tangente da lui ipotizzata. Anche in questo caso il sostituto procuratore era Celestina Gravina. “Il pm continua a sostenere le sue posizioni come se nulla fosse accaduto – ha proseguito il pg -.Come se non ci fosse un’associazione passata in giudicato. E questa è una violazione delle regole di giudizio”. Nelle motivazioni di questo processo i giudici scrissero che mancava “la prova della corruzione” e che Vincenzo Armanna, ex manager di Eni, “non” era credibile”.
La seconda Corte d’Appello di Milano, presieduta da Enrico Manzi, ha preso atto della rinuncia dei motivi di appello da parta del pg Celestina Gravina che ha chiesto anche “la declaratoria di passaggio in giudicato” della sentenza di assoluzione di primo grado di tutti i 15 imputati al processo sul caso Eni/Shell Nigeria. Il pg, nel chiudere il suo intervento, ha affermato che “questo processo deve finire perché non ha fondamento” aggiungendo che gli imputati “che per 7 anni sono stati sotto procedimento hanno il diritto di vedere cessare questa situazione che è contra legem rispetto all’economia processuale e alle regole del giusto processo”.
“È stata una requisitoria molto penetrante, argomentata, anche sintetica e pacata che però ha frantumato completamente l’accusa – secondo l’avvocata Paola Severino, legale dell’ad di Eni Claudio Descalzi, commentando l’intervento – Concludere dicendo che non c’erano prove del pagamento di una tangente mi sembra davvero che abbia chiuso un procedimento con un’affermazione molto forte: ogni cittadino ha diritto, dopo sette anni e senza che sia stata raggiunta la prova della sua colpevolezza, a veder finire immediatamente il processo. Credo sia un messaggio molto forte che è arrivato nell’aula in maniera molto precisa e di cui tutti noi abbiamo preso atto – ha aggiunto -. La giustizia può essere magari lenta ad arrivare, ma quando arriva deve essere dichiarata immediatamente”. Alla domanda se avesse sentito Descalzi, Severino ha risposto: “Gli ho mandato un messaggio. È in missione per l’Italia nell’interesse dell’Italia. Mi fa piacere dire che persone che per l’Italia stanno facendo tanto siano sollevate dal peso di un processo come questo. È veramente importante”.
“Eni ha appreso con grande soddisfazione della rinuncia all’appello da parte della Procura Generale, pronunciata innanzi alla II sezione della Corte d’Appello di Milano, che, prendendone atto, ha sancito la fine della immotivata e sconcertante vicenda giudiziaria penale riferita alla concessione OPL 245 in Nigeria”. Lo si legge in una nota del gruppo che ricorda come “la rinuncia determina che le assoluzioni già pronunciate nel marzo 2021 di Eni e dei suoi manager siano diventate definitive, passando in giudicato”.