“Nella Silicon Valley fare errori è una condizione necessaria per poter innovare. La maggior parte delle startup falliscono ma sono sempre viste come opportunità di apprendimento. Questa mentalità, insieme ai capitali e alle infrastrutture, a mio parere hanno generato benessere e progresso”. Andrea Carafa vive in California e si è occupato di innovazione tecnologica per l’ambiente, la salute e il benessere sociale come imprenditore, investitore e docente universitario sia negli Stati Uniti che in Europa. Pronto a tornare in Italia, un giorno? “Con le giuste condizioni, sì. Sarebbe bello poter contribuire al rilancio del nostro Paese grazie alle competenze e alle reti che ho sviluppato all’estero.”
Andrea è nato e cresciuto in una piccola cittadina del Sud Italia. Dopo gli studi universitari a Roma, ha avuto l’opportunità di fare l’ultimo anno di laurea triennale in Finlandia grazie al programma Erasmus. Dopo aver lavorato e continuato gli studi all’estero, tra Danimarca, Spagna e Francia, Andrea è diventato Marie Curie Fellow: “Ho fatto ricerca sulle tecnologie emergenti ad alto potenziale di impatto presso la Commissione Europea a Bruxelles e a Grenoble. Ho anche svolto dei periodi di ricerca presso la Bocconi di Milano e il CERN di Ginevra, per poi approdare nella Silicon Valley”, ricorda al fatto.it.
In California Andrea è oggi docente e Founding Emergence Fellow a Stanford, oltre ad essere direttore del Blackstone Launchpad – un acceleratore di startup – e docente presso la University of California, Santa Cruz. “Collaboro anche con l’ONU e altre organizzazioni pubbliche e private su temi legati all’uso della tecnologia per gli obiettivi dello sviluppo sostenibile”. Andrea ha avuto sempre la fortuna, racconta, di essere accolto a braccia aperte e con disponibilità di aiuto. Alcune delle differenze principali tra l’Italia e la Silicon Valley vanno, dice, a favore dello sviluppo economico di quest’ultima. “Qui c’è un approccio molto pragmatico e quindi meno burocrazia; poi ci sono i capitali abbondanti e tutta una serie di infrastrutture per investire in tecnologie innovative, creare startup e farle crescere”, aggiunge.
Negli Stati Uniti ci sono sempre più fondi che investono in startup che si occupano di cambiamento climatico, transizione energetica ed ecologica, salute pubblica, e altri interessi strategici per il Paese. “Mi ritrovo spesso a pensare come l’Italia possa tornare a creare più lavoro e benessere grazie alla ricerca, l’innovazione e la creazione di startup innovative, così come viene fatto negli Stati Uniti e in molti altri Paesi sviluppati – spiega –. Per troppo tempo, invece, non lo abbiamo fatto”. Fortunatamente, in questi ultimi anni “il governo e altri attori sia pubblici che privati hanno iniziato a destinare sempre più fondi all’innovazione. Basti pensare al Fondo Nazionale per l’Innovazione, così come – continua – ai fondi del PNRR per l’innovazione e la transizione ecologica, energetica, e digitale”. Insomma, per Andrea le cose stanno cambiando: “Stanno nascendo acceleratori di startup e poli di trasferimento tecnologico in tutta Italia. Le startup italiane stanno raccogliendo sempre più capitali, seguendo delle traiettorie simili a quelle di altri Paesi europei che si sono avviati prima che già hanno portato a casa ottimi risultati, come Francia, Germania e Spagna”.
Osservando tutto ciò a distanza, dalla Silicon Valley, “con la consapevolezza di chi ha vissuto in prima persona quanto l’innovazione possa portare progresso, benessere e resilienza – aggiunge – penso che l’Italia abbia davanti a sé un’opportunità importante. Alle sfide globali dovremo rispondere con tanta innovazione e collaborazione a livello internazionale”, così come accaduto dopo il recente disastro vulcanico a Tonga e dopo l’invasione dell’Ucraina, ad esempio, con startup di tutto il mondo che hanno immediatamente messo a disposizione prodotti e servizi quali algoritmi d’intelligenza artificiale per immagini satellitari, soluzioni gratuite per il trasferimento di fondi, e soluzioni per garantire l’accesso ad internet in zone colpite da attacchi e disastri naturali.
Cosa manca di più dell’Italia? La famiglia, gli amici, le tradizioni che “ci portano a condividere tanto con molta convivialità. Sono molto legato all’Italia e all’Europa. Ci torno almeno due volte ogni anno e sento ancora una bellissima connessione con la mia terra”. In Italia, però, l’assenza di lavoro e di condizioni economiche favorevoli hanno spinto “tanti (e troppi) giovani (e meno giovani) a lasciare il Paese in questi ultimi quindici anni”. “Le nostre famiglie oggi sono troppo spesso divise da confini e oceani, con i figli all’estero e i genitori in Italia. Penso che proprio dall’innovazione, dalla ricerca, e dai giovani il Paese possa e debba ripartire. I nuovi Leonardo da Vinci, Rita Levi Montalcini, Adriano Olivetti, e Margherita Hack facciamoli sbocciare e crescere ancora una volta in Italia. Finanziamo i loro progetti di ricerca e di startup – conclude –. E non lasciamoli più scappare all’estero”.