“Parlano di cibo, ma non so se lo stanno davvero mangiando”. Tra le due guerre mondiali, nella placida e formale campagna inglese, la camerierina Jane (Odessa Young), al servizio dei tristi signori Niven (Colin Firth e Olivia Colman), ha una relazione sessuale con Paul (Josh O’Connor) il figlio di alcuni ricchi signori vicini dei Niven che si consuma la domenica mattina, quando i signori si incontrano per pranzo, luogo dove poi li raggiunge lo stesso Paul e dove si trova anche la sua fidanzata ufficiale. Un pretesto libidico e finanche sentimentale, l’avvinghiarsi lussureggiante, levigato e pulito di Jane e Paul, che si allarga a macchia d’olio sull’intera scrittura di scena e diventa architrave drammaturgico per un’opera che intreccia la tradizionale e intaccabile differenza di classe socio-economica (la versione british è quella impettita e laconica che Firth riassume nel sussurro monocorde che offre nel film) con la potenza e la fragilità del sesso.
Sottotrame evidenti: molti figli dei ricchi signori sono morti nelle trincee della guerra e su Paul grava una sorta di aspettativa di realizzazione di classe esagerata, come di una morte annunciata; l’orfana Jane dalle umili origini diventerà prima commessa in una libreria e poi scrittrice da premio, ça va sans dire, utilizzando i materiali narrativi tragici autobiografici (tre i registri temporali in cui slitta la protagonista mescolati al tempo del 1924). Mothering Sunday, diventato Secret Love, si configura come un sussurrio sulla perdita e il rimpianto all’occhio dello spettatore, attratto da una meticolosa, impeccabile, laccata, messa in scena d’epoca, come da una sorta di intorpidita e rallentata (non dilatata) surplace narrativa che ruota attorno alla vicinanza dei corpi nudi e bianchi tra Jane e Paul.
Cinema del controluce, di riflessi sugli specchi, di camera car spioventi e frontali un po’ meccanici, quello di Eva Husson, attrice francese e ora regista, adorata da Thierry Fremaux che l’ha voluta in Concorso a Cannes 2021; ma anche un tentativo attraente e grezzo di riproporre una poetica alla Jane Campion orientata sulla vigorosa consapevolezza e indipendenza femminile qui declinata in una burbera nonché sofferente capacità di reazione pratica alle tragiche sfortune della vita. Probabilmente il romanzo del 2016 di Graham Swift a cui è tratto Secret Love in mano anche solo a un Frears o a un Russell sarebbe stato disegnato più acre, acidulo, distruttivo o vagamente trasformativo (non rivoluzionario, per carità). Jane da anziana è interpretata in tre sequenze dalla celebre Glenda Jackson (origini ultra working class e laburismo vecchio stile nel midollo) che di fronte alla vittoria di un importante premio apre la porta di casa e ai giornalisti accalcati sui gradini ripete la risposta sorniona e sprezzante che espresse Doris Lessing quando le annunciarono la vittoria del Nobel.