Tanti like e molti commenti degli utenti che la ringraziavano per le belle parole e la possibilità di potersi identificare in esse. Ma assieme al successo social è arrivato anche il clamore mediatico, che l’attrice Matilda De Angelis sembra non aver gradito. Dopo un post pubblicato su Instagram dove condivideva le sue ansie e paure, non sono mancate le manifestazioni di affetto, dolcezza, la comprensione di moltissime persone. Per contro, il “fastidioso ma inevitabile” meccanismo per cui le testate giornalistiche avrebbero ripreso il post per farne “un articolo da clickbait”. “Ho avuto voglia di cancellare tutto per non finire nel vortice del pietismo e della compassione, il mio post non aveva assolutamente quello scopo”, ha puntualizzato Matilda. Condividere le proprie fragilità sui social comporta dei rischi o può essere utile per attenuare le tensioni? “Premetto che non parlo di un personaggio o di una situazione in particolare. È evidente che tutte le situazioni possono essere estremizzate: pensare alle proprie fragilità come una vergogna da nascondere a tutti i costi o, all’opposto, come qualcosa da esibire in modo superficiale o spettacolare”, spiega il professor David Lazzari, Presidente del Consiglio Nazionale Ordine Psicologi. “Tutte le cose, per funzionare bene, richiedono equilibrio e onestà di intenti. Detto questo, è un fatto che oggi sta cambiando il rapporto con queste tematiche. Non solo dei personaggi più in vista – pensiamo a tanti atleti prima ancora che a gente dello spettacolo – ma anche delle persone nella vita quotidiana. Sta venendo meno l’equazione ‘problemi uguale debolezza’ e l’idea della vita come ricerca competitiva di standard perfezionistici e solo formali. La vita può comportare queste difficoltà ed è importante affrontarle con il giusto equilibrio”.
Professor Lazzari, come orientarsi con queste condivisioni, quando lo facciamo con i nostri familiari o conoscenti?
“Aprirsi in famiglia, con le persone care o con gli amici più stretti, è molto spesso un inizio. Non è detto che sempre funzioni, ma poter condividere spesso è importante, per rendere il problema più oggettivo, qualcosa da cui non fuggire ma che si può affrontare. Ovviamente ci sono tante situazioni diverse, dalle più semplici difficoltà che possono essere superate anche con l’aiuto di familiari e amici, fino alle situazioni che richiedono un aiuto esperto. Certo è importante trovare persone care che non banalizzino i problemi o pensino di doverli risolvere al posto nostro. Quello che conta è l’empatia, il sentirsi ascoltati, il capire che di queste cose si può parlare senza venire giudicati”.
“Piangersi addosso” fino a che punto è terapeutico?
“Piangersi addosso e ammettere di avere dei problemi sono due cose molto diverse. La prima non porta da nessuna parte, è solo un modo per agitarsi senza fare nulla. Una forma di esibizionismo o, al meglio, uno sfogo. Aprirsi è altra cosa, è una forma di condivisione che contiene un certo grado di consapevolezza. Un segno di rispetto per sé, ma anche per gli altri”.
Condividere le nostre paure sui social, quali insidie nasconde?
“I social sono un amplificatore e quindi facilmente estremizzano le situazioni. Dobbiamo sapere che anche le migliori intenzioni possono essere fraintese, sia in buona che in cattiva fede. Molti usano i social per criticare e contrapporsi. Ma certo è difficile avere un consenso unanime ed essere capiti da tutti. Però spesso sono i media a riprendere i contenuti pubblicati sui social per fare scalpore, producendo un effetto distorsivo sulle intenzioni di chi si è esposto”.
Come si definisce l’ansia in modo scientificamente corretto?
“L’ansia è un segnale di pericolo in sé fisiologico. Che in dosi normali aiuta ad attivarsi. È normale avere una certa ansia in molte situazioni che dobbiamo affrontare. Con l’esperienza e la consapevolezza possiamo imparare a gestirla al meglio. Il problema nasce quando è troppa e in troppe situazioni, reali o solo pensate. Allora diventiamo vittime dell’ansia, che ci condiziona la vita, diventa disfunzionale, uno sperpero di energia. A questo punto, l’ansia non è attivante ma bloccante”.
Come si imposta un percorso psicoterapeutico per ridurre o sconfiggere questi stati di ansia?
“Esistono diversi modelli di intervento di provata efficacia, che sono raccomandati dalle linee guida internazionali. L’intervento va tarato ovviamente sulla situazione specifica e sulla persona che ha il problema. In relazione al tipo di problema l’intervento può variare molto, da pochi incontri a percorsi più lunghi. È importante sapere che in molte situazioni i risultati si possono raggiungere anche con trattamenti brevi”.