di Daniele Giuseppe Cannata

Non votare la fiducia è un segno chiaro e non si può ignorare. Vero, siamo tutti d’accordo. Si poteva però evitare di inserire il progetto di un inceneritore in un Dl “Aiuti” che nulla c’entra con l’oggetto del provvedimento e, per giunta, ponendovi anche la questione di fiducia. Si poteva tranquillamente togliere l’inceneritore dal Dl Aiuti e inserirlo in un altro provvedimento non sottoposto a fiducia; così chi avrebbe voluto sfilarsi l’avrebbe potuto fare evitando inutili terremoti. Questo modo di procedere non fa altro che nascondere, neanche troppo in realtà, una maggioranza fragile e ricca di contraddizioni ma, d’altronde, questo era il governo dei Migliori. E questo è quello che si era già fatto su altri provvedimenti (vedi Catasto).

Il governo dei Migliori era un’accozzaglia tenuta insieme esclusivamente da interessi personali (poltrone) e dalla paura di andare al voto: chi impaurito di perdere la leadership della propria coalizione, piuttosto che del tracollo del consenso rispetto al 2018 o rispetto a chi preferisce stare al potere anche quando le ultime elezioni di fatto le ha perse sonoramente. Insomma c’era di tutto, meno che senso di responsabilità.

Perché di fatto nell’ultimo decennio o più, ogni qual volta ci si ritrovava a dover gestire una crisi, non era mai il momento opportuno per andare a votare. O meglio, non fino a quando i parlamentari non maturavano il diritto al vitalizio. Siamo proprio un “bel paese”.

Anche un osservatore non molto attento, visto quanto sopra, penserebbe che era sicuramente più facile poter andare avanti in continuità con il modus operandi dei mesi precedenti senza inutili scossoni e salvaguardando, in questo caso sì con “responsabilità”, la stabilità del Paese. Invece il voto della scorsa settimana è stato utilizzato a pretesto per addossare la colpa al M5S della crisi di governo e consentire al Migliore dei Migliori di rassegnare (dal canto suo: finalmente!) le tanto agognate dimissioni da un ruolo che, dalla mancata elezione al Quirinale, svolgeva ormai per inerzia e non per spirito d’appartenenza alla nazione (ma non era un nonno al servizio delle Istituzioni??).

D’altronde al governo dei Migliori interessavano soltanto i voti da “zitti e buoni” dei 5S. Per fortuna anche il masochismo di quest’ultimi ha un limite e dopo 17 mesi di governo hanno finalmente avuto un sussulto di dignità. Certo è proprio strano che questo coincida proprio con la maturazione dei termini per l’ottenimento della pensione da ex parlamentare che è l’unica cosa che porteranno a casa visto che non saranno rieletti per via del calo dei consensi, della riduzione dei parlamentari e del vincolo del doppio mandato. Ad ogni modo la strada se non altro era quella giusta per far valere il peso specifico dei voti del M5S (o diversamente sfilarsi dal governo e accasarsi all’opposizione) se non fosse che il cosiddetto centro-destra di governo ha colto la palla al balzo per far saltare il banco.

Azione oggettivamente facilitata dalle sberle verbali proferite dal Migliore dei Migliori in aula al Senato dopo aver anche rispedito al mittente la proposta di quest’ultimi di un governo Draghi-bis ma senza 5S. Richiesta anche con una certa logica e legittima dal canto loro.

Tirando le somme pare quindi limpida l’intenzione di Draghi di volersi più che altro togliere dei sassolini (anzi, macigni) dalle scarpe per la mancata elezione al Quirinale che era (e resta tutt’ora) il suo principale obiettivo per chiudere una carriera, non politica, gloriosa. Vale quindi la pena ricordare che il presidente del Consiglio la scorsa settimana ha rassegnato una prima volta le dimissioni nonostante avesse ottenuto la fiducia con grandi numeri. Circa il 70%. Se non è l’unico, sicuramente è uno dei rari governi al mondo che va a casa con un tale appoggio nel palazzo.

Non oso immaginare cosa avrebbero potuto fare se non fossero stati i Migliori. Se non fossero stati di alto profilo. Se non fossero stati responsabili.

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