“Questa Ferrari c’è, ma smetta di regalare punti alla Red Bull. Leclerc? Il team ora deve sceglierlo come primo pilota”. La solita schiettezza di sempre, quella che sia in pista che fuori ha sempre caratterizzato René Arnoux. L’oggi 74enne grande amico di Gilles Villeneuve ed ex pilota del Cavallino, molto stimato da Enzo Ferrari, si racconta parlando di attualità ma ricordando anche i tempi che furono. Dallo straordinario duello di Digione nel 1979 contro il canadese, al rapporto col Drake e Ayrton Senna, fino alla rivalità sportiva e umana con Alain Prost ai tempi della Renault. Il ricordo va anche al GP di Francia che conquistò con la scuderia francese nel 1982, a pochi giorni dall’appuntamento del Paul Ricard (questa domenica) dove ripartirà la battaglia tra Charles Leclerc e Max Verstappen.

A Silverstone e in Austria la sua Ferrari è riuscita a fare doppietta, dopo diverse gare di stop. Maranello può recuperare sulla Red Bull?
La F1-75 è nata bene, regge la Red Bull. È competitiva e ben bilanciata, lo si è visto a Silverstone e in Austria. Il peccato è aver regalato tanti punti possibili per Leclerc ai rivali (i guasti all’auto di Barcellona e Baku, gli errori di strategia a Montecarlo e in Inghilterra, ndr). In Francia per me la Rossa può fare bene, trovo la pista vicina alle sue caratteristiche. Se la batterà fino alla fine, ma basta regali.

Dall’Inghilterra, si è parlato tanto di ordini di scuderia a Maranello, con Mattia Binotto che ha sempre detto di voler trattare i piloti per il momento alla pari. Ora che Leclerc ha vinto in Austria, allungando su Sainz dopo il ritiro dello spagnolo, giusto che il team appoggi il monegasco?
Leclerc è quasi sempre più veloce di Sainz, sia in prova che in gara. Con un Mondiale tirato come questo, e una Red Bull competitiva in quasi tutti i circuiti mondiali, non si può più sbagliare. A 11 gare dalla fine, Charles ha più punti e Carlos dovrà probabilmente cambiare il motore, per così iniziare dal fondo nel GP di Francia. La situazione mi sembra piuttosto chiara.

Per Sainz è arrivata la prima pole e vittoria in carriera nel GP d’Inghilterra. Ora che si è sbloccato mentalmente, la Ferrari può battersela più alla pari con la Red Bull in classifica Costruttori?
La prima vittoria è sempre importante, figurarsi conquistarla in Ferrari. Sainz avrà sicuramente più confidenza in lui, come accadde a me quando trionfai in Brasile (nel 1980). Sì, penso che Carlos ora possa essere importante per la classifica Costruttori. Anche se dovrà vedersela con Sergio Pérez, che, va detto, quest’anno è cresciuto tantissimo sulla Red Bull.

Uno dei problemi che preoccupano più in casa Ferrari è quello sull’affidabilità…
Sia Sainz che Leclerc hanno avuto problemi in Austria, ed è chiaro che se i guasti sono di motore sono preoccupanti. Charles ha due power unit oltre il consentito dal regolamento Fia (in totale tre sostituzioni), inseriti nel GP del Canada e che sta ruotando in queste gare. Il team deve assolutamente risolvere questo problema se vuole battersela alla lunga con la Red Bull.

In Inghilterra la vittoria di Sainz è passata in secondo piano, con i tifosi che hanno criticato Binotto e il team per la strategia che ha sfavorito Leclerc. Trova delle analogie tra il successo dello spagnolo e quello di Jean-Pierre Jabouille a Digione nel 1979?
Entrambe le vittorie non sono state considerate. Io e Gilles (Villeneuve) con il nostro duello in Francia, oscurammo la vittoria di Jabouille e, in parte, quella del primo trionfo di un motore turbo in F1. Noi però allora non ci giocavamo il Mondiale, mentre Sainz ha avuto sin dall’inizio una macchina competitiva per provarci. La mia Renault di allora (la RS10) non poteva farcela. Giusto che Carlos, con la possibilità nel finale di inseguire la vittoria, abbia passato Leclerc con gomma fresca in Inghilterra, resta però l’errore del team di non premiare Leclerc quando è entrata la Safety Car (per il ritiro dell’Alpine di Esteban Ocon).

Rispetto alle scintille contro Lewis Hamilton nel 2021, culminate tra i due con i contatti di Silverstone e Monza, quest’anno non trova un Max Verstappen più maturo e meno irruento alla guida?
Quando vinci un Mondiale, scarichi la tensione e guidi la stagione seguente con sì una grande grinta, ma anche più sicurezza. Ti senti più tranquillo. L’anno scorso la Red Bull non ha vinto il Mondiale con merito, e Lewis Hamilton è stato un signore a non dar contro ai rivali dopo quanto successo all’ultimo giro di Abu Dhabi. Ma, sicuramente, il titolo conquistato è servito a Verstappen per maturare in pista.

Il GP di Francia lei lo vinse nel 1982. Anche allora si correva al Paul Ricard e guidava la Renault, cosa ha sentito nel vincere il Gran Premio di casa con una vettura del suo Paese?
Quel giorno lì eravamo tre francesi sul podio: io, Alain Prost secondo con l’altra Renault, e Didier Pironi sulla Ferrari. Patrick Tambay si piazzò quarto. Ogni Gran Premio ottenevamo nove punti, adesso ogni vittoria ne vale 25: una volta dovevi assolutamente vincere, oggi puoi gestire e accontentarti anche di altri piazzamenti. Quindi, ho apprezzato molto quella vittoria sulla mia Renault che quel giorno era perfetta, sia d’assetto che di motore. Una volta che vinsi, ho scaricato tutto il nervosismo che avevo accumulato a 10 giri dalla fine, quando la paura di sbagliare mi saliva in testa e aveva paura che la mia monoposto mi tradisse prima della bandiera a scacchi.

Si può immaginare la soddisfazione di aver battuto Prost, con cui non ha mai avuto un grande rapporto…
La nostra era una relazione difficile, e in gara non ho mai giocato a suo favore, bensì pensavo alla vittoria. Prost è stato un ottimo pilota in carriera, ma nel paddock non andava d’accordo con quasi nessuno. E al Paul Ricard, in quel 1982, ha sicuramente rosicato. Dopo quel GP di Francia, vinsi e festeggiai con l’allora direttore generale della Renault F1, Bernard Renault, in una mega-festa che si è tenuta sia sul suo aereo che dopo l’atterraggio. Tutti, vertici e ingegneri del team, erano contenti della mia vittoria. Ma ricordo anche il quarto posto due anni prima: allora mi feci un bel regalo, in quella gara che si correva il giorno successivo (il 5 luglio) al mio 33° compleanno.

Se con Prost la relazione non è stata rose e fiori, ebbe grandissimo rispetto per il grande rivale del francese in McLaren, Ayrton Senna.
Ayrton era una persona con un modo di vivere la vita completamente opposta a Prost. Se di Alain non ho nulla da dire, Senna era una persona intelligentissima, introversa, di una grandissima sensibilità. Ho sentito persone che lo criticavano, dicendo che ‘Magic’ mandava le persone fuori strada perché era un pazzo, ma queste non capiscono proprio un bel nulla. Senna fece pole position con auto che non avevano in canna il primo posto, era un fenomeno.

Svela un aneddoto della relazione che aveva con il brasiliano?
Ricordo che prima dell’ultimo appuntamento di campionato di Adelaide, noi piloti andavamo tutti in ferie a Bali. Sull’aereo per l’Australia in quel novembre 1987, mi trovai Senna nel sedile a fianco. Ci facemmo una lunga chiacchierata, mi chiese della McLaren e che tipo fosse Prost. L’anno dopo avrebbe infatti lasciato la Lotus per passare nel team di Woking. Ayrton rispettava pensieri e persone, ma subiva il colpo dentro quando veniva criticato. Come fece più volte in carriera Nelson Piquet, che a Senna tirava delle ‘sberle’ continue con parole senza senso.

A proposito di Piquet, nelle ultime settimane è finito nella bufera per le frasi razziste contro Hamilton.
Piquet non ha mai accettato di avere in pista un pilota-rivale come Senna, nato nella sua stessa Nazione. Dico di più: mi sarebbe piaciuto vederli tutti e due nella stessa squadra, per i giornalisti ci sarebbe stato molto da raccontare. Ricordo che Nelson venne da me prima di un GP per una breve discussione, dove ebbe il coraggio di chiedermi di lasciarlo passare in pista, perché aveva due-tre punti da recuperare in classifica. Come si può domandare questo a un pilota, che tradizionalmente è un animale da pista? Capisco se all’ultima gara me lo proponesse un mio compagno di squadra in lotta per il campionato, nel caso io non lo fossi, ma come fece Piquet non fu affatto corretto.

Quarant’anni fa moriva il suo amico Villeneuve a Zolder, nel GP del Belgio. Come nacque l’amicizia con il pilota canadese?
Naturalmente. Ci stringemmo la mano e capimmo che avevamo lo stesso modo di pensare. Mi invitò dopo poco tempo a mangiare un piatto italiano nel motorhome Ferrari, il giorno dopo io lo invitavo nel mio alla Renault. Poi ci conoscemmo molto meglio, e dopo quel duello strepitoso a Digione nel 1979 salimmo sul podio festeggiando insieme. Adoravo il suo modo di guidare, per lui non c’era limite, dava il tutto per tutto. A Imola, una volta mi disse: ‘Se abbiamo i freni e lo sterzo, allora possiamo fare qualsiasi cosa’. Lo soprannominavo ‘l’acrobata’, seppur io lo voglio ricordare per quello che accadde a Watkins Glen, negli Usa.

Ovvero?
Io gli chiesi come si affrontava una determinata curva, mi rispose che per un attimo lui alzava il pedale, così come facevo anch’io. Poi mi disse: ‘In qualifica, provo a farla in pieno’. A un certo punto, vedo una Ferrari danneggiata e senza le ruote, Gilles accanto con il suo casco. Torno ai box e gli chiedo: ‘Allora?’. E lui: ‘Non si può fare in pieno’. Con Gilles non c’erano mezze misure, o lo amavi o lo odiavi.

A Zolder lo vide morire, cosa ricorda di quelle ore?
Pranzammo insieme, scambiammo qualche parola senza parlare del duello di Imola di due settimane prima, dove rimase ferito per il trattamento della Ferrari, in quella vittoria che doveva essere sua ma alla fine andò a Pironi. Capivo la delusione, e conoscendo il suo carattere aveva sicuramente chiuso tutti i contatti con il suo compagno di box. Poi in pista, nelle qualifiche, io ero 30-35 metri più indietro quando ci fu l’incidente mortale: il tocco con la March di Joachim Mass, il volo e la caduta sul casco. Mi fermai con la mia vettura su un lato della pista, e tornai con lui quando lo misero in ambulanza. Avevo un dispiacere enorme oltre alla sensazione di aver perso un grande amico. Ma non ebbi mai un rimorso, il pensiero di dire: ‘La F1 è troppo pericolosa, mi ritiro’. Il giorno dopo, in gara, sentivo solo il grande desiderio di correre per omaggiare Gilles.

Una persona che le è rimasta nel cuore, così come Enzo Ferrari.
Ricordo quando il Commendatore mandava il suo autista Dino, che mi diceva: ‘René, l’ingegnere avrebbe piacere di mangiare con te a mezzogiorno’. Io gli rispondevo: ‘Dica all’ingegnere che il piacere è tutto mio’. Col Grande Vecchio la relazione era estremamente spontanea. La prima volta che ci vedemmo per un colloquio, Enzo rimase contento che non mi presentai con un manager. Allora fui molto egoista, non volevo qualcuno affianco a me per il rispetto che provavo per lui.

Cos’altro ricorda?
Che Enzo aveva una cuoca fantastica, una volta eravamo a cena e lui voleva che bevessi del Lambrusco o che mangiassi di più. Io invece bevevo solo acqua. Dopo ogni pranzo, lui andava a fare un pisolino e io tornavo a guidare a Fiorano.

Suo compagno di squadra in Ferrari fu Michele Alboreto.
Una persona meravigliosa, ero esterrefatto dalla sua gentilezza che sempre aveva. Normalmente non è mai bello per un pilota quando un suo compagno di squadra gli finisce davanti, ma quando lo faceva Michele io ero contento. Mai trovata una persona così dolce ed educata come lui. Un altro, poi, che mi piaceva moltissimo era Elio De Angelis, e ironia della sorte ho visto anche lui morire dal vivo in quell’incidente al Paul Ricard nel 1986. Ero 20 metri dietro di lui: l’auto ribaltata, che prese fuoco, ed era inavvicinabile.

E il suo addio improvviso da Maranello dopo l’inizio della stagione 1985? Allora si prese il quarto posto al via in Brasile e poi rescisse il contratto…
Il segreto rimarrà per sempre con me, ma con Enzo rimasero ottimi i rapporti anche in futuro. Se la Ferrari oggi è ancora la Ferrari, il merito è solo del Commendatore.

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