Sono stati presentati come una svolta nel contesto bellico ucraino dal presidente Volodymyr Zelensky in persona. Sono stati definiti un rischio per la sicurezza nazionale da Mosca, tanto da portare il ministro degli Esteri, Serghej Lavrov, a dichiarare pubblicamente che il loro impiego ha causato l’allargamento degli obiettivi territoriali del Cremlino nel Paese invaso per volere di Vladimir Putin. La verità, però, è che il tanto chiacchierato sistema missilistico Himars inviato da Washington all’esercito di Kiev non è affatto in grado di ribaltare le sorti del conflitto. O almeno, non nei quantitativi presentati. Dal canto suo, però, ha dato a entrambe le parti in causa la possibilità di alimentare la propria propaganda.

Come spiega a Ilfattoquotidiano.it Marco Di Liddo, responsabile del desk Russia per il Centro Studi Internazionale (Cesi), “per pensare di invertire il trend di questa guerra, che vede la Russia avanzare lentamente, ma in maniera costante, sarebbe servita una fornitura di batterie Himars di circa un centinaio di pezzi. Stiamo parlando invece di un progetto, quello americano, che prevede l’invio totale di 16 batterie, con quelle già consegnate che sarebbero al momento tra le 8 e le 12. Numeri insufficienti a coprire un fronte ampissimo e lungo il quale Kiev si trova ad affrontare un esercito ben più preparato e attrezzato, nonostante le forniture occidentali”.

Una lettura, quella dell’analista, che contrasta con le reazioni dei leader protagonisti di questa guerra. Da una parte c’è, appunto, Volodymyr Zelensky che martedì ha definito il sistema come l’elemento che può stravolgere le sorti militari del conflitto. Valeriy Zaluzhniy, comandante militare ucraino, ha aggiunto: “Siamo riusciti a stabilizzare la situazione. Quest’ultima è complessa, intensa, ma sotto controllo. Un importante fattore che ha contribuito alla riconquista delle linee difensive e posizioni è stato l’arrivo puntuale dell’M142 Himars che infligge chirurgicamente colpi ai posti di controllo e ai depositi di munizioni e carburante del nemico”. “Nessuna svolta – sostiene invece Di Liddo -, i numeri forniti fino ad oggi rendono impossibile uno stravolgimento così netto della guerra. Ma, dopo aver continuato a chiedere armi incessantemente all’Occidente (l’ultima volta per bocca della first lady Olena Zelenska volata a Washington, ndr), in un momento di difficoltà sul campo il presidente ha bisogno di continuare a giustificare le sue richieste. E lo fa sostenendo che le forniture stanno portando i loro frutti”.

Dall’altra parte, anche Mosca ha colto l’occasione per sfruttare la mossa occidentale e girarla a proprio favore. Alzando la posta in gioco. Il ministro degli esteri, Serghej Lavrov, ha ripreso le dichiarazioni di Zelensky per annunciare un cambio di obiettivi sul campo e nel corso di un’intervista a Ria Novosti ha dichiarato: “A causa della fornitura di armi occidentali in Ucraina gli obiettivi dell’operazione militare speciale russa nel Paese sono cambiati e ora non si fermano alle autoproclamate repubbliche di Donetsk e di Luhansk“. “Lavrov – continua Di Liddo – l’ha messa sul piano della sicurezza nazionale dicendo sostanzialmente che, data la fornitura di armi con un raggio d’azione più ampio, per la Federazione è diventato necessario allargare la fascia di territorio che separa la linea del fronte dai confini nazionali. Una questione di sicurezza interna. Ma lui sa benissimo che 12 o 16 Himars non sono in grado di mettere a rischio l’integrità del territorio russo”. Le batterie inviate da Washington, infatti, possono colpire fino a 300 chilometri di distanza, permettendo così agli ordigni sganciati dall’esercito di Kiev di oltrepassare le linee nemiche e raggiungere obiettivi in territorio russo. “Questa è pura propaganda – sostiene l’esperto -, studiata dal Cremlino per giustificare gli obiettivi che si è posto fin dall’inizio ed esplicitati in una delle poche dichiarazioni sincere sentite fino ad oggi: l’Ucraina, dal loro punto di vista, è un errore della storia commesso dall’Unione Sovietica e al quale la caduta dell’Urss ha impedito di porre rimedio. Per questo, nella cartina geografica di Mosca, non solo il Donbass, ma anche Kiev e i territori fino alla Transnistria non esistono se non sotto la bandiera nazionale russa. Faranno di tutto per raggiungere questo obiettivo, non sappiamo se ce la faranno. Ma ci proveranno fino a quando la situazione interna non sarà così grave da farli tornare sui loro passi, così come avvenne nel corso dell’invasione dell’Afghanistan del 1979″.

Twitter: @GianniRosini

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